La Lega contro il diritto alla bellezza all’attacco delle Soprintendenze

di Fabio Mestici

E’ stato recentemente presentato un emendamento al decreto Cultura, prima firma il leghista Bof, sulla riduzione del potere vincolante delle Soprintendenze in tema di autorizzazioni su interventi paesaggistico-urbanistici. Sull’emendamento è intervenuto anche il Ministro Giuli ottenendone il ritiro. Questo fatto ha appassionato le testate giornalistiche che in modo superficiale parlano di “scontro interno alle destre”, distogliendo l’attenzione dalla notizia principale: è la prima volta che le Soprintendenze, che esercitano la loro funzione di tutela del paesaggio come previsto dall’articolo 9 della Costituzione e dal D.Lgs 42/2004, finiscono nel mirino del Governo. Lo Stato ha tentato di ridurre l’azione di una sua propaggine. Eppure se a Pontida è possibile ancora bere l’acqua del Po come rito iniziatico, in parte i leghisti lo devono alle Soprintendenze che ne hanno mantenuto l’integrità paesaggistica. È riduttivo incardinare questa azione come una semplice ritorsione alle lungaggini che ingolfano l’iter di realizzazione del Ponte sullo Stretto, dove proprio il leader leghista Matteo Salvini ha messo la faccia, invero è presente una lettura totalmente errata di chi considera la tutela dei beni culturali e del paesaggio non un patrimonio bensì un intollerabile ostacolo alle iniziative edilizie, da sempre più remunerative. È vero, le Soprintendenze hanno vissuto in questi anni diversi momenti di difficoltà e riorganizzazione: nel 2004 gli uffici fino a quel momento autonomi, convogliarono nel nuovo ufficio della Direzione Regionale per i beni culturali e paesaggistici, aumentando di fatto l’azione nei territori periferici e decentrati; nel 2014 la “riforma Franceschini” necessaria per il contenimento della spesa pubblica, depotenziò l’impianto periferico dividendo i musei, fino a quel momento appendici delle Soprintendenze, da quest’ultime, separando quindi le azioni di tutela e di ricerca del Ministero. Nel 2024 le cicatrici di queste riforme si notano ancora su un organigramma abbastanza limitato, ma altamente specializzato e uffici esautorati dalle richieste. Dagli anni ‘60, ben prima dell’istituzione del Ministero, i socialisti intuirono l’importanza di tutela del patrimonio artistico e naturale come interessi fondamentali del Paese, carpendo la necessità di un intervento legislativo che mettesse a riparo il paesaggio del Bel Paese dal boom edilizio che cominciava a interessare le città e i luoghi di villeggiatura. Fra tutte è necessario ricordare l’affossamento da parte delle lobby dei costruttori della legge del democristiano Fiorentino Sullo, che nonostante l’intervento di Lombardi, portò alla rottura tra Dc e Psi. Tornando ai giorni nostri, non possiamo quindi esimerci dallo schierarci al fianco dello Stato. I leghisti già hanno fatto sapere che torneranno in futuro alla carica con dei disegni di legge ad hoc. È necessaria quindi una rivoluzione culturale che ribadisca l’efficacia della tutela del paesaggio esercitata dalle Soprintendenze, ma rilanci l’azione di queste con un potenziamento strutturale, riscoprendo il Diritto alla Bellezza previsto dalla nostra Costituzione. E di cui noi non vogliamo privarci.

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