di Giada Fazzalari
C’è una guerra, più strisciante e silenziosa di altre, che si consuma ogni giorno. Una guerra invisibile, che si insidia costantemente nella nostra società. Sono le morti bianche, una piaga sociale che uccide lavoratori, distrugge famiglie e che non si arresta. Non sono serviti i richiami del Capo dello Stato, Sergio Mattarella, che ha parlato di ‘scandalo intollerabile’. Poco o nulla è cambiato, anche dopo le dichiarazioni indignate di politici di destra e di sinistra, durate spesso il tempo della tragedia e poi dimenticate. Una strage che lo scorso anno ha fatto oltre mille e quattrocento ottantacinque vittime: più di quattro morti al giorno. L’incidente di questa settimana avvenuto a Carpendolo, un piccolo comune nel Bresciano, è solo l’ultimo caso: un operaio di 43 anni è morto cadendo dal tetto di un capannone da un’altezza di circa 10 metri. Una tragedia che porta a 197 i morti solo nel 2024. Una normativa sulla sicurezza più stringente da applicare, formazione continua, potenziamento dei controlli sono le prime azioni, urgenti, che andrebbero messe in campo per porre fine a questa strage. Una nuova cultura della sicurezza sul lavoro, insomma, per evitare di ritrovarci, ancora, a piangere altre vittime. A iniziare dall’equiparazione delle norme del codice degli appalti previste, in materia di sicurezza, per gli operatori pubblici anche per i privati, con responsabilità quindi certe e puntuali, in un settore, quello delle costruzioni che si conferma quello con maggiore mortalità tra i lavoratori. Ma soprattutto, serve maggiore consapevolezza e serve fare luce su un tema che deve interessare tutti, politica, imprese, istituzioni e lavoratori, che non può restare confinato in una serie di dichiarazioni intrise di retorica. Non basta la condanna del momento, lo sdegno cavalcato sull’onda dell’emotività. Serve una responsabilità collettiva. Perché morire di lavoro non è solo una tragedia personale. Ma una vergona per qualsiasi paese civile.