di Lorenzo Cinquepalmi
Il rifiuto di differenziare il genere, rispetto ai diritti e ai doveri sociali e nei rapporti umani e, più in generale, il rifiuto di differenziare in generale, deve essere l’impegno con cui affrontare il fenomeno dell’assassinio di donne a opera di uomini come reazione alla ribellione delle prime ad accettare la dominanza del maschio (compagno, padre, fratello) che pretende di imporre loro il suo ruolo guida. Per il diritto, per la legge, chi muore assassinato è una persona e il suo assassinio ha e deve avere lo stesso disvalore, indipendentemente dal genere e da qualsiasi altro carattere dimorfico. Le norme penali per valutare le circostanze che rendono più grave un delitto esistono già, e coprono veramente tutte le possibili aberrazioni dell’agire. Ecco perché aggravare le pene non ha senso. Significa forse che i troppi, e troppo ricorrenti assassinii di donne a opera di uomini non abbiano un importante fattore comune da identificare e su cui lavorare? Chiaramente no: la violenza che le donne subiscono con inaccettabile frequenza a opera di uomini, impone un preciso intervento, anche di politica criminale, ma soprattutto di politica sociale. La scelta d’elezione della destra di fronte a fenomeni criminali che suscitano allarme sociale, è un banale stereotipo: aggravare le pene, reprimere, affliggere. È assodato che l’inasprimento delle pene e dell’azione repressiva in generale non ha un valido effetto deterrente delle pulsioni criminali. Non lo ha in generale, per delitti il cui disvalore è chiaramente percepito del reo, e lo ha ancor meno per i reati violenti che un uomo può spingersi a commettere su una donna, la cui gravità non è sentita quanto dovrebbe o, comunque, pare essere più attinta da giustificazioni sociali. Sull’acquisizione a patrimonio culturale collettivo del pari valore di genere si dovrebbe lavorare e non, come la destra propone, sull’aumento delle pene, ricetta populista che insegue un consenso facile e superficiale, quasi animalesco, guardandosi bene dall’affrontare veramente il tema. E così, dalla destra al governo, sul fronte della prevenzione a breve, medio e lungo termine, non arriva nessuna proposta, ma solo il tonitruante Salvini, col controcanto dei vecchi forcaioli post missini. Eppure, prevenire a breve significa incrementare l’efficacia e l’efficienza dei presìdi territoriali destinati a tutelare le donne che si dichiarano, o vengono segnalate, come vittime di violenza maschile. Prevenire a medio termine vuol dire potenziare gli strumenti rieducativi-riparativi del sistema giustizia, con strutture in cui l’approfondimento e la specializzazione in materia di violenza di genere rendano davvero efficaci i percorsi di recupero dei maschi incapaci di concepire la pari dignità tra se stessi e le donne della loro vita. Ma, soprattutto, prevenire a lungo termine significa sradicare dalla società tutti i modelli di vita, di comportamento, di atteggiamento verso il prossimo, intrisi di pregiudizio, discriminazione, prevaricazione, non solo sessisti. Intraprendere questa battaglia significa abbandonare la facile tentazione populista della galera e basta, smettere di accontentarsi del generico riferimento all’esigenza di un’evoluzione culturale per elaborare, finalmente, con il contributo della scienza, una strategia di intervento sociale capace di far crescere le nuove generazioni con modelli in cui l’uguaglianza sia tale per tutte e per tutti. È difficile ma necessario.