di Giada Fazzalari
“L’ostracismo nei confronti della figura di Bettino Craxi si è prolungato per decenni ogni ragionevolezza, in alcuni casi ha preso le forme di un linciaggio postumo, ma in vista del venticinquesimo anniversario della scomparsa, è in corso un vero disgelo. A questo punto è arrivato anche il tempo di riscoprire tante pagine: quelle oscurate dal falò iconoclasta e altre, rimaste sconosciute ma importantissime”. Fabio Martini, che ha seguito per “La Stampa” le vicende del Psi e di Craxi dalla fine degli anni Ottanta, è autore della nuova edizione di “Controvento, la vera storia di Bettino Craxi” (Rubbettino), che dopo la sua prima uscita nel 2020 ha avuto una larga diffusione e che ora propone diverse pagine inedite, alcune sorprendenti.
Nel 2025, verso la figura di Craxi sembra finalmente essere maturato uno sguardo “giusto”, persino benevolo in aree che non lo sono state in passato: per quali ragioni?
«E’ così, la tua valutazione è oggettiva. Credo che, senza retorica, si possa prendere atto di un fenomeno molto interessante: da 30 anni, è in atto una sorta di “resistenza” politica e sentimentale per preservare una giusta memoria della storia socialista, da parte di soggetti molto diversi tra loro. Anzitutto da parte di centinaia di migliaia di elettori, ex elettori, militanti attuali, autorevoli dirigenti di quello che è stato il nuovo corso socialista e che hanno tenuto alto il buon nome delle proprie battaglie. Da parte del Psi, collocato (ovviamente) a sinistra e unico erede legittimo del partito storico. Poi, sul piano della riflessione e della ricerca storica, accanto ad una rivista prestigiosa come “Mondoperaio”, la Fondazione Socialismo e la Fondazione Craxi hanno mantenuto ad un livello spesso molto alto i loro contributi».
Questa “resistenza” politica e sentimentale quanto ha favorito il disgelo?
«Molto. Per una ragione semplice, che descrivo nel mio libro: per 25 anni queste entità così diverse hanno contribuito ad elaborare quella che a lungo sembrava una semplice controstoria, ma che via via è diventata storia condivisa. Una impresa originale. Non scontata. Poi, certo c’è la distanza che spegne le passioni, c’è la realtà di una Seconda Repubblica spesso insoddisfacente e che ha esaltato la nostalgia. E’ così che si sono create le condizioni ambientali per il disgelo di queste settimane. Chi ha sofferto non può che gioire per la riconsiderazione politica in atto, ma anche vigilare sugli eccessi agiografici e non solo di parti politiche un tempo ostili».
E perché mai non potremmo finalmente rilassarci e goderci questo risarcimento spontaneo?
«Chi ha detto questo? E non ripeto quel che già sento in questi giorni: ma dove erano quelli che oggi esprimono peana? Tutto questo riguarda lo stile dei singoli. Ma è vero che siamo nel Paese degli eccessi, che oscilla tra piazza Venezia e piazzale Loreto e c’è sempre un rischio: che uno scivolamento agiografico possa risvegliare gli odiatori. E invece i socialisti ma anche i cittadini interessati a capire come andarono le cose, a questo punto hanno tutto l’interesse ad una storia scritta per bene, che non trascuri le ombre e che illumini le luci».
Cos’è che non sapevamo di Craxi e che racconti in “Controvento”?
«Si racconta dell’”altra Sigonella”, una vicenda passata alla storia come la prima occasione nella quale un presidente del Consiglio italiano respinse un’interpretazione molto hard del concetto di sovranità da parte degli Stati Uniti, vicenda che oscurò le ragioni che l’avevano motivata: l’attacco del prima fondamentalismo palestinese, gli antenati di Hamas, ad un equilibrato piano italiano di pace per il Medio Oriente che Craxi in quella fase stava coltivando. E si racconta uno scontro molto aspro tra Craxi e Peres, nel corso del quale il primo ministro israeliano sibilò; “Craxi, sei in anticipo con la storia, non posso seguirti”».
Altre vicende che in qualche modo “parlano” all’attualità?
«La prima vera sfida all’egemonia culturale, allora quella del Pci, una sfida sul piano delle idee e non dei posti. Interessantissima una lettera riservata del Pcus a Berlinguer per attivare una campagna contro la Biennale del dissenso. Aderirono spontaneamente fiori di intellettuali. Giulio Carlo Argan definì “zelo da crocerossine” la difesa dei dissidenti. Su Mani pulite si raccontano le due Americhe che affiorano dai dispacci dell’Ambasciata americana a Roma: quella di Bush pro-Di Pietro e quella di Clinton contraria. Due Americhe diverse ma alla fine convergenti nell’accompagnare Craxi fuori scena. E tanto altro: anche una lettera di Leonardo Sciascia a Craxi, nella quale rivela di aver votato Psi e dispensa anche un consiglio che oggi possiamo definire profetico».
Per il tuo lavoro hai incrociato i principali leader di questo Paese, da Andreotti a Meloni: perché questa insistita curiosità per Craxi?
«Per ciò che lo rende diverso da tutti gli altri: il suo costante rifiuto dello status quo, delle imposizioni dall’alto, della demagogia. Un tratto libertario, tipico dei socialisti italiani sin dalle origini. Ecco perché bene ha fatto l’editore Rubbettino nella copertina di “Controvento” a rinunciare ad una immagine patinata, preferendo un Craxi inquieto, non pacificato: quello è il vero Craxi, quello che può ancora “parlare” a tanti italiani».