di Andrea Follini
Gennaro Acquaviva è entrato nel Psi nel ’72 con un gruppo di cattolici. Da 1976, quando Craxi assume la segreteria del Psi, diventa il suo più stretto collaboratore. Lo seguirà anche a Palazzo Chigi, dove assunse il ruolo di consigliere politico del leader socialista. È figura autorevole per darci una lettura del Craxi politico.
Siamo al 25° anniversario dalla morte di Bettino Craxi. Sembra un tempo sufficiente per una riscoperta del valore dell’uomo Bettino e del Craxi politico e Presidente del Consiglio.
«È passato un quarto di secolo. Per la prima volta dalla morte di Bettino e dalla disgrazia del dopo ‘93-’94, si comincia a fare un ragionamento ampio sulla sua capacità di essere stato un grande politico italiano, un leader della Nazione capace di fare il bene del Paese oltre che gli interessi del proprio partito. Sembra che oggi si approdi, anche forse per la crisi della politica italiana nel complesso, ad una visione più realistica di quella che è statala vita stessa di Craxi e dei socialisti».
Craxi nel 1976 assunse la guida del partito in un momento nel quale il Psi sembrava all’angolo, e l’ha portato ad essere centro della politica in Italia. Un lavoro eccezionale…
«La sua elezione a segretario fu una cosa inaspettata e non pianificata. Tutti i dirigenti pensavano che fosse l’uomo giusto perché non conosciuto, sembrava un sempliciotto; l’uomo giusto per non sparigliare le carte del potere interno nel Partito dopo la gestione “tranquillante” e soporifera della segreteria De Martino. Il gruppo dirigente del tempo, soprattutto i meno vecchi, i meno tradizionalisti, scelsero la strada del rinnovamento. Craxi fu l’innovatore, a dispetto dell’idea che molti avevano di lui, cioè che contasse poco o nulla. Lo spessore politico di Craxi, invece, le sue capacità, emersero subito. Il Paese visse in quegli anni delle gravi difficoltà. Ed anche il Partito. In particolare i 55 giorni di Moro nel ’78, che furono una esperienza traumatica».
Anche molto controcorrente, perché all’epoca la decisione del Partito, quella di aprirsi al dialogo con le Brigate Rosse per tentare la liberazione di Moro, era assolutamente fuori dagli schemi di tutti gli altri partiti…
«Era l’unica realistica; gli altri non erano realisti perché volevano la morte di Moro; tutti, dall’America alla Russia. Doveva essere tolto di mezzo dalla politica italiana, non doveva essere salvato. Come purtroppo se ne accorse lo stesso Paolo VI, suo grande amico, che più concretamente tentò di salvare Moro, perché mise insieme i quattrini per pagare il riscatto».
E del Craxi Presidente del Consiglio? L’idea del pentapartito, di mettere insieme sensibilità diverse, fu decisamente una innovazione. È pensabile un parallelismo con l’attualità secondo te?
«Non credo che il paragone sia possibile. Allora c’era un sistema stabile ma statico. La necessità era quella di emarginare il partito comunista, riaffermare una politica progressista e di socialismo liberale; ma il problema del governo Craxi era quello che il Psi allora non aveva l’autorevolezza di un partito al 30/40 per cento dei voti in parlamento; c’aveva l’11 e mezzo. Ma poteva contare sul fatto che Craxi era più bravo degli altri, più capace di tenere insieme forze diverse, di essere innovativo. E quello fu il grande miracolo di Craxi, perché in quei tre -quattro anni riuscì ad essere, non solo nei momenti di crisi ma anche nella gestione ordinaria, un grande leader, con grande capacità di essere “comandante”, un Presidente che decideva, che prendeva su di se le responsabilità sia sulla politica estera che su quella interna. E lui era l’unico in grado di farlo. Con grandi appoggi, bada bene; perché lo appoggiarono i migliori dei democristiani e soprattutto la parte intelligente, saggia sia dei socialisti che dei partiti laici».
Tra le numerose riforme messe in campo dai governi Craxi, il rinnovo del Concordato con la Chiesa cattolica è sicuramente un elemento caratterizzante. Fu complicato?
«Era una specie di rogna (ride) che si trascinava dalla Costituente. Il Concordato del ‘29 segnava un grande privilegio per la Chiesa cattolica. Bisognava cambiare. Abbiamo messo insieme le persone, le forze, le intelligenze dei due campi, soprattutto laici (in parte comunisti) e cattolici clericali, per definire i punti più delicati da cambiare. I comunisti erano favorevoli a tutto, pur di non essere tagliati fuori. I democristiani erano interessati a fare quello che voleva la Chiesa, ma la Chiesa era molto incerta sui cambiamenti, visto che partiva da una posizione di vantaggio esagerato. Poi bisognava dare attuazione anche alle intese con le altre religioni. Craxi era quello il cui partito in Costituente aveva votato contro l’articolo 7; quindi era il candidato ideale a farcela».
Ma c’era anche chi, vicino a lui, lo aiutò.
«Ebbe la fortuna di incrociare un gruppo di cattolici intelligenti, me compreso, che avevano buoni rapporti con il Vaticano, con i vescovi. Si trovò la strada giusta, l’utilità giusta, dei clericali socialisti (ride). Craxi, un anti clericale della tradizione socialista, disse a noi, quando si trattò la questione finanziaria: “Non affamate i preti!”. Tanto per dire com’era Craxi».