di Giada Fazzalari
In occasione dell’anniversario della scomparsa di Craxi, esponenti di centrodestra lo hanno omaggiato recandosi ad Hammamet. Qualcuno ha visto l’intenzione di “appropriarsi” della sua figura o persino della sua eredità politica…
«È un tentativo che va avanti da parecchio tempo. Ma cosa c’entra la destra con Craxi? Craxi ha difeso i diritti dei popoli, anche di quello palestinese e ha sempre puntato a legittimare e costituzionalizzare Arafat e l’Olp. Ha difeso dalle ingerenze americana il Cile di Allende, ha difeso la sovranità italiana a Sigonella. Farebbe altrettanto questa destra? La Russa ha in casa il busto di Mussolini, non quello di Nenni. Craxi era il vicepresidente dell’Internazionale Socialista, ha fondato il Pse. Credo che a sentir parlare di internazionale socialista Trump e Musk metterebbero mano alla pistola».
La destra ha quindi provato a occupare uno spazio politico lasciato vuoto dalla sinistra?
«La sinistra siamo noi socialisti, l’abbiamo inventata noi. Direi invece da parte parte degli ex comunisti per un verso e poi, dall’altra parte, che cosa ci possiamo aspettare dai cinque stelle? È un partito delle procure, il più giustizialista di tutti. Il dato storico è che i post comunisti sono stati i grandi beneficiari, insieme ai post fascisti, del golpe giustizialista dei primi anni ‘90 e non si sono ancora del tutto redenti da quei misfatti, salvo una parte che ha cominciato a riflettere e un’altra parte che probabilmente non conosce gli eventi. Chi ha beneficiato dell’operazione Mani Pulite fa fatica a rinnegare il proprio comportamento».
Il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha fatto pervenire un messaggio significativo in occasione del 25mo anniversario.
«È un messaggio nobile e vigoroso, ricco di riconoscimenti dell’opera politica di Craxi, per un quindicennio alla guida del socialismo italiano, che ha lasciato un’impronta profonda, secondo Mattarella, soprattutto nella politica internazionale, atlantica, europeista e mediterranea ma anche per lo sviluppo economico nell’attenzione e nella cura per i ceti più deboli, attraverso le riforme importanti del suo governo. Dunque non ci poteva essere fonte più autorevole per un riconoscimento da parte di un grande Presidente che è stato un leader della Dc e del Pd. In precedenza c’era stato anche il messaggio di Giorgio Napolitano, ex comunista che affermava che Craxi era stato trattato dalla giustizia con una durezza senza eguali, cioè in modo ingiusto e discriminatorio. Vorremmo però, come ha detto giustamente Enzo Maraio, che si avviasse una riflessione comune, una discussione. Perché qui non si tratta di fare l’apologia di Craxi, ma di distinguere i meriti che sono grandi e tanti. E gli errori eventuali da discutere laicamente e seriamente».
Hai l’impressione, come tanti hanno osservato, che sia cambiato il clima dell’opinione pubblica? Dopo venticinque anni è possibile che le sue battaglie diventino finalmente patrimonio di tutti?
«Sì, ma nel senso in cui avvengono i fenomeni culturali, quindi in una forma carsica, più che attraverso spettacolari riconoscimenti. Certo, l’opinione pubblica non è più quella dell’epoca delle monetine, ma mi chiedo se fosse quella l’opinione pubblica o se si trattava di uno sparuto gruppo di faziosi fomentati dalle sezioni locali del Pds, ex Pci e anche gruppi di post fascisti. Certo è che si è formato un giudizio prevalente che è stato quello a lungo di criminalizzare non solo Craxi ma i socialisti, la Dc e i partiti laici. C’è tra i socialisti uno strano orgoglio nel volere il primato di essere stati più vittime di tutti gli altri. Andreotti fu accusato di essere mafioso. Forlani è stato addirittura ingiuriato perché aveva la bocca secca mentre rispondeva alle domande di Di Pietro. In realtà capita a tanti di dover bere un sorso d’acqua se si parla in pubblico e lui fu descritto come avesse la bava alla bocca. C’era un clima fetente, violento, un razzismo anti politico da cui dieci anni dopo deriva il populismo. Più tardi il vice procuratore aggiunto D’Ambrosio dichiarò che non si potevano arrestare tutti, serviva a qualcuno che fosse dalla loro parte. Insomma, si stava criminalizzando un’intera classe politica, quella che aveva governato l’Italia e l’aveva portata, dopo il disastro fascista e mussoliniano, ad essere un Paese prospero e rispettato di rango internazionale, all’epoca di Craxi quinta potenza del pianeta. L’invito che rivolgo ai socialisti è di non crogiolarsi nel vittimismo che, come si è visto, non ha portato a nulla, ma riconoscere che siamo stati parte della catastrofe che ha travolto la Repubblica. Catastrofe di sistema voluta dai potentati economici, dai loro giornali, dalle procure che usarono il carcere per estorcere confessioni e dai partiti che cavalcarono l’ondata».
Da quando è venuto meno il socialismo, la sinistra si è smarrita. È possibile che ritrovi la bussola, nonostante ad una parte della sinistra Craxi rimanga ancora indigesto?
«È un dente che duole, che non si estrae e non si riesce a curare. Però prima o poi una medicina giusta si troverà. Per ora vedo una sorta di discontinuità. Probabilmente dipende dall’affacciarsi di nuove generazioni che non sono così direttamente collegate con il passato. Esponenti del Pd di origine comunista come Fassino, come Bettini, da tempo hanno riconosciuto i meriti di Craxi, persino D’Alema che contro Craxi fu efferato lo ha fatto. E poi riaffiorano anche nella grande stampa riflessioni più serie e obiettive. È un cammino che è iniziato da un po’ di tempo e che ha avuto un’accelerazione in questo venticinquesimo anniversario, quindi io ho fiducia che come sempre il tempo sarà galantuomo e riconoscerà i grandi meriti di Craxi come leader socialista».
Il tentativo della destra di ‘strappare’ Craxi ai socialisti e alla sinistra non può dunque riuscire?
«I socialisti non sono di sinistra, i socialisti la sinistra l’hanno inventata creando tutto ciò che della sinistra ancora conta: la solidarietà, il sindacato, il partito, lo Stato democratico. Quanto ai comunisti, un vecchio segretario socialista francese, Guy Mollet, alla domanda se i comunisti fossero di sinistra, rispondeva: “i comunisti non sono né di destra né di sinistra”, sono a est. È la risposta giusta. Del resto si è vista la rapida trasformazione del Pci in un partito che a un certo punto della sua storia si definiva liberaldemocratico e ha dato vita a un Partito democratico. Un partito nato da una fusione di una parte della Democrazia Cristiana e una parte del Partito Comunista, con cui si è respinta la via maestra che era quella della conversione alla socialdemocrazia. I segni di un perdurare di quella traccia comunista e postcomunista stanno nell’incapacità di vedere la natura fascista della Russia di Putin e della Cina di Xi e nel mito di Berlinguer. Immergersi in quel mito è diventato una sorta di bagno purificatore dei compromessi e delle bassezze della politica».
Hai sostenuto che il nome di Bettino Craxi unisce e non divide i socialisti. Questo è il terreno su cui restare uniti?
«Sì, Craxi li unì e la sua lezione ci può aiutare anche oggi. Ma unire i socialisti non basta. Io penso che bisogna unire i socialisti e i riformisti di altre appartenenze, siano quelle della vecchia tradizione comunista, come la parte migliorista, il riformismo cattolico e quello di natura più liberale di altre formazioni che dovrebbero smetterla di lottare come galli nei pollai e partecipare a un tentativo unitario di dar vita, anche in Italia, a un centrosinistra moderno».