Il Parlamento per il Governo ancora una volta è solo un impiccio

di Marika Forense

La nuova legge di bilancio, varata dal Governo di Giorgia Meloni, è stata ancora una volta approvata da una sola Camera, rinnegando o per meglio dire, non volendo applicare, l’articolo 55 della Costituzione, la stessa a sancire la struttura del bicameralismo perfetto del Parlamento in Italia; ma si sa, il Governo Meloni, ha esautorato il Parlamento della sua funzione primaria, quella legislativa. Storicamente il bicameralismo si giustifica in quanto diretta conseguenza del principio di separazione dei poteri, teorizzato da Montesquieu, in quanto perseguiva l’obiettivo di contemperare la componente aristocratica, costituita da una Camera di nomina regia e, quindi, non elettiva (Senato), con quella borghese, costituita da una Camera elettiva (Camera dei deputati). In seno all’Assemblea costituente il dibattito fu molto acceso tra i sostenitori di tale sistema e coloro che, invece, auspicavano un Parlamento monocamerale; si raggiunse un compromesso, ossia la creazione di un bicameralismo perfetto, fondato su due Camere poste entrambe sullo stesso piano e con gli stessi poteri. Ciò consentiva una importante garanzia legislativa per il reciproco controllo che il bicameralismo, attraverso il passaggio legislativo tra le due assemblee, assicurava. Ma effettivamente, anche per la manovra di Bilancio del 2025, non si vede l’ombra del bicameralismo, questo ddl viene ancora una volta approvato in forma monocamerale; viene approvato dalla Camera, mentre al Senato, per via dei tempi (colpevolmente) contingentati, è negato il tempo e il modo per poter intervenire, visto che si è trattato di un’approvazione a dir poco “blindata”; ma cosa ci si può aspettare da un Governo che opera prevalentemente con l’utilizzo dei Decreti Legge? Un Governo che dal 20 ottobre 2022 al 30 settembre 2024, nel corso di 97 sedute del Consiglio dei Ministri ha varato 72 decreti legge, pari al 24% di tutti i provvedimenti approvati, ai quali si aggiungono, 104 decreti legislativi (35%) e 122 disegni di legge (41%). Nel frattempo, però, le sedute del Consiglio dei Ministri sono diventate 99 e di conseguenza sono lievitati anche i Decreti Legge, che arrivano a 74; dati che dimostrano quanto sostanzialmente il governo decida arbitrariamente, violando per l’ennesima volta i criteri democratici posti alla base del nostro Paese. Un governo dalle caratteristiche illiberali, che sta mostrando spudorato disinteresse per il principio della separazione dei poteri, che tanto è costata ai padri Costituenti. Tra gli altri problemi di questo Governo, c’è anche quello con la stampa. L’ultima apparizione risale al 3 novembre 2023: Giorgia Meloni si era presentata davanti ai giornalisti per commentare il disegno di legge di riforma costituzionale per l’elezione diretta del presidente del Consiglio. In quell’occasione, insieme alla premier c’erano tra gli altri i due vicepresidenti del Consiglio e il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio. Nei mesi successivi, e nell’anno successivo, questi esponenti del governo si sono ripresentati in diverse conferenze stampa a Palazzo Chigi, mentre lei, no. La propensione ad evitare domande e argomenti che potrebbero metterla in difficoltà, la spingono ad optare per la soluzione più comoda: il silenzio. O meglio, per il messaggio unidirezionale senza botta-risposta. Tutto questo nel momento in cui, in ambito di libertà di stampa, secondo i dati pubblicati dalla Federazione Nazionale Stampa Italiana, l’Italia è scivolata rovinosamente al 46° posto, a causa della “legge bavaglio” sostenuta sempre dalla Meloni. E se la conferenza stampa di fine anno è stata, sino ad ora, una consuetudine radicata da sempre, nei rapporti tra stampa e i governi che si sono susseguiti, anche quest’anno la Premier l’ha rimandata, per il secondo anno di fila. Questa volta, senza spiegazioni, nè ufficiali, ne’ ufficiose. L’Italia aspetterà, dunque, il solito messaggio di auguri su Instagram.

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