di Alessandro Silvestri
Antefatto: “Via quei giudici!” Così tuonava il 13 novembre scorso Elon Musk contro gli ermellini di Roma che avevano sospeso la convalida per il trasferimento dei migranti in Albania. Invito subito raccolto dall’amico di tutti i catenacci populisti/nazionalisti nonché vice-Meloni, Matteo Salvini che approfittava anche per bacchettare l’Anm rea di intromissioni politiche non gradite. Per fortuna, dietro i silenzi imbarazzanti della Presidente del Consiglio, è intervenuto Mattarella a rimettere gli appropriati puntini sulle “i” alla faccenda. Considerato anche che il multimiliardario di Pretoria, non aveva ancora nessun incarico politico formale, e che il suo cursus honorum in materia era rappresentato dall’aver visto tutte le puntate di “The Apprentice”. Ora è noto che noi socialisti abbiamo un contenzioso più che trentennale con certi apparati più che militanti “militari” della Magistratura italiana, che intervennero a gamba tesa nel 1992 contornati da diversi altri poteri, non tutti dicibili, per effettuare un vero e proprio “golpe bianco” senza passare dal “Via!” della storia; ed essendo garantisti fino al midollo, quando sentiamo tintinnare manette, catene, e schiavettoni “ce se ‘ntosta ‘a nervatura”; ma anche che, frequentando le istituzioni nazionali e internazionali da oltre cento trent’anni, abbiamo ben chiari i meccanismi di pesi e contrappesi che reggono una democrazia e una Repubblica, e i rapporti di sovranità che intercorrono tra Stati. Quindi, se si arriva al punto di tollerare se non di sottoscrivere le parole e l’atteggiamento di questi nuovi Paperoni che avranno pure i fantastiliardi ma che di politica ci capiscono quanto Cassano di grammatica, significa che la passerella poggiata ai bordi del baratro, si accorcia sempre più. Un “virus” che sta purtroppo diffondendosi rapidamente sui ponti di comando di parecchi Paesi (non ultimo la Romania che, entrata in Schengen da poche ore, svolta a destra nella migliore delle ipotesi, o verso il nazionalismo filorusso nella peggiore). Una “distrazione” delle élites (se così possiamo definirle) che si sta diffondendo ovunque, e non sappiamo bene cosa aspettarci da gennaio 2025 con l’insediamento di Trump. Perché il dato concreto che accomuna un po’ tutti questi soggetti riaffiorati sulla scena dopo un ‘900 che pensavamo (a torto) avesse vaccinato per lungo tempo il mondo, è quello della disintermediazione: una rottamazione sistematica di tutto ciò che aveva fin qui garantito uno sviluppo se non perfetto, quantomeno accettabile, dei sistemi democratici. Via i partiti, i sindacati e l’associazionismo. Via infine i giudici che poveretti credono ancora nei contrappesi dello Stato così come lo aveva definito Montesquieu nel XVIII secolo. Un ritorno nefasto al plebiscito, dove il rapporto più sbrigativo tra potere e masse prefigura di guarire ogni male e ogni guasto dei pesanti e costosi sistemi democratici. Un miracoloso sale di Wanna Marchi sparso a piene mani dal taumaturgo di turno. Elementi che possiamo ritrovare ad esempio nella proposta meloniana del premierato. Intanto gli Usa rafforzano le basi navali nel Pacifico e in quella giapponese di Yokosuka. E nelle Filippine, Presidente e vice sono ai ferri cortissimi sul tema dei rapporti con Pechino. Riavvicinandoci all’Italia di parecchi chilometri, il capo indiscusso del pacifismo internazionale, Vladimir Dzhugasvili Putin, ha chiamato al tavolo delle “trattative” con Kiev, ulteriori truppe nordcoreane, nonché i guerriglieri Huthi e varie falangi di mercenari asiatici, con il chiaro intento di allargare il conflitto con l’Ucraina e per effetto collaterale, con la Nato; considerando che Gran Bretagna, Francia, Polonia e Repubbliche Baltiche sono pronte ad inviare truppe sul teatro di guerra e che la Ue ha perso tempo prezioso anche col dossier Fitto. Ma la malattia è seria e occorre accelerare ogni processo di dialogo non solo tra le democrazie occidentali.