di Enzo Maraio
Nemmeno un governo che si dice sovranista, come quello di Giorgia Meloni è in grado di rilanciare i gioielli di famiglia. Dal suo insediamento ad oggi, questo Esecutivo ha saputo solo dimostrare di non avere una visione industriale affidandosi al bancomat delle privatizzazioni. Poste, Eni, Ferrovie, Raiway, il sistema portuale, Tim; nulla sembra salvarsi dalla nuova ondata di cessioni sul mercato. Un errore nel metodo e nel merito, perpetuato negli anni anche dai governi di centrosinistra che, sbagliando, hanno avviato la totale svendita di aziende statali fiori all’occhiello dell’economia nostrana e principali fautori del “miracolo italiano”. Un esempio su tutti. A fine novembre, la cessione del 25% di Mps. Una cessione avvenuta a 2,92 euro, senza che ci fossero vincoli stringenti da Bruxelles per le tempistiche. Oggi i titoli valgono quasi un euro in più. Sarebbe bastato aspettare qualche mese e lo Stato avrebbe ricavato oltre il 10 per cento in più dall’operazione. E invece nulla. In questi giorni il Tesoro ha svenduto un altro 12,5% di Mps. Atti sciagurati, quelli commessi dal governo Meloni, che sta offrendo affari d’oro a fondi speculativi stranieri. E lo si fa in barba anche a quel becero principio di nazionalismo, valore fortemente radicato nella cultura politica di destra. Principi sventolati, come tavole sacre, in campagna elettorale solo per dare propano ad un elettorato rimasto congelato. È chiaro che senza una visione strategica non si va da nessuna parte. Senza cioè un piano serio per il recupero (vero) dell’evasione fiscale, senza alcuna revisione della spesa pubblica. Semplicemente colpendo i più poveri e senza mettere in campo una corretta politica industriale, capace di determinare crescita economica, occupazione e risoluzione delle tante crisi aziendali aperte. In un momento storico in cui sarebbe il caso di avviare un piano di rilancio del Paese, si preferisce affidarsi alla solita minestra riscaldata che ci fa perdere il controllo di interi asset strategici, realizzando la privatizzazione di aziende partecipate pubbliche al solo scopo di fare cassa e senza alcuno significato strategico. Il tutto, per la sola gestione della spesa corrente. E così la nostra economia groviera, mostra i segni dello sfascio, con ricadute pesanti su occupazione e servizi. Peraltro, i risultati sono sotto gli occhi di tutti: organici ridotti, lavoro precario e parcellizzato, part-time involontari, appalti e subappalti al massimo ribasso, bassi salari e lavoro insicuro rappresentano le emergenze frutto di politiche che hanno svalorizzato il lavoro e la dignità dei lavoratori. Un’emergenza per la quale bisogna intervenire utilizzando tutti gli strumenti democratici a disposizione.