di Alessandro Silvestri
Dal salva-Santanché al salva-casa, fu un battito di ciglia. Per una serie di casi fortuiti (?) la polemica politica che stava lacerando da diverso tempo i nervi della maggioranza, tra richieste di dimissioni per problemi legati alla giustizia, ma anche in molti casi per inadeguatezza a ricoprire il ruolo, giungono inaspettate (?) le vicende di Bari e di Torino che vedono coinvolti esponenti locali del Pd, alle prese con svariate forme di questione morale disattesa. Un cavallo di battaglia antico invero. Una cosa alquanto sgradevole ci tocca però sottolineare: persiste nei confronti dei socialisti ancora il vezzo della informazione pilotata, tema di cui accenneremo alla fine dell’articolo. È mai possibile che ogni qualvolta si assista in questo Paese ad uno scandalo grande o piccolo, ci sia il bisogno ancestrale di citare il passato del politico o maneggione di turno, soltanto se 40 anni fa è transitato dal Psi, come nel caso del torinese Salvatore Gallo detto Sasà?!? Eppure avremmo il problema gigantesco di una classe politica inadatta oggi, con un governo che, ormai finito da parecchio il rodaggio, non riesce a trovare la giusta andatura procedendo a strappi e sobbalzi, come la Bianchina di Fantozzi. Un tema concreto quello della mancanza di classe dirigente che abbiamo più volte affrontato, con ministri, sottosegretari e deputati palesemente inadeguati a tenere un profilo istituzionale almeno accettabile, soprattutto dalle parti dei Fratelli d’Italia. Ed il meglio di sé proprio i melonians lo danno quando rientrano nei loro collegi nei lunghi fine settimana di stacco dall’ozio parlamentare, animatissimi in questo periodo anche per via delle elezioni locali. E a proposito di cacicchi e capibastone, termini ritornati di moda grazie ai sopracitati guai del Pd e alle intemerate di Conte, ne sanno qualcosa a Biella dove nei giorni scorsi, in occasione di una delle tante cene-maratona per il candidato sindaco di FdI Marzio Olivero, ennesimo fratello d’Italia che scalza un sindaco uscente leghista, ha fatto irruzione Andrea Delmastro che ha affrontato a brutto muso il “sottoposto” urlandogli una sequela di rimproveri per aver nominato un revisore dei conti di una banca locale, non gradito (evidentemente) al sottosegretario. Tanto che sono dovuti intervenire in più occasioni anche gli uomini della sua scorta (gente che non s’annoia di certo) per separare i contendenti. “So’ ragazzi” avrebbe commentato da Palazzo Chigi, una voce femminile con accento romanesco. E tutto questo proprio nelle celebrazioni del quarantennale della Lega. Chi se la sarebbe aspettata una debacle così fragorosa, dopo i fasti del 2019 al 35%? “Ho sbagliato a non andare a trovare Umberto Bossi più spesso, ma ho ancora tanto da dare. Persone in gamba ce ne sono ma li lascio aspettare un attimo”. Così l’ex capitano d’Italia si è espresso dopo i malumori che si sono manifestati nel suo partito, soprattutto a partire dalla rinuncia a ricandidare Solinas in Sardegna, al ponte sullo Stretto che non decolla, e a fronte dei dati dei sondaggi in caduta libera. Ma non solo, per l’ennesima puntata della saga dei giri di giostra, Matteone nostro imbarca nientedimeno che lo scudocrociato Cesa per le europee, nel tentativo di non dover smammare per un misero 0,5%. Oltre a questo il leone di Baggio, che una ne fa e cento ne pensa, ha subito rilanciato con un fantomatico decreto salva-casa, in puro stile araba fenice – che vi sia, ciascun lo dice; dove sia, nessun lo sa – dato che non solo la maggioranza, ma anche la stessa Meloni è stata colta di sorpresa e ai microfoni ha dichiarato piuttosto contrariata “Non ho letto la norma. E non posso commentare ciò che non ho letto”. E pure Tajani ha rincarato la dose “No a nuovi condoni”. Tanto che il giorno dopo Salvini ha iniziato una manovra di rettifiche, e forse memore dei tempi di quando faceva parte della corrente dei comunisti padani, ha detto che la norma non riguarderà le zone sismiche e quei furbetti che vi hanno costruito ville abusive. Insomma il solito sgangherato fritto misto di terra e di mare al quale siamo ormai abituati, appunto da 40 anni. Ultima notazione, ma probabilmente anche la più grave, se anche la stampa francese e spagnola attraverso Liberation ed El Pais se n’è occupata, e riguarda il livello della libertà d’informazione del nostro Paese. Timori rafforzati dal tentativo del gruppo Angelucci di accaparrarsi l’AGI, praticamente a costo zero, seconda agenzia di stampa italiana in mano da sempre all’ENI, esperimento poi rientrato proprio per il putiferio che la stampa ancora col guinzaglio lungo e quella estera, hanno scatenato. Ma siamo vicini comunque all’en plein dato che la Rai è ormai saldamente nelle mani del Governo, Mediaset è pleonastico dire, e l’ormai terzo gruppo mediatico del Paese, in mano al senatore della Lega, già Pdl e FI Antonio Angelucci. Che pare comunque accontentarsi di acquisire DIRE, agenzia da tempo in difficoltà economiche, fondata da Antonio Tatò negli anni ruggenti del Pci Berlingueriano.