Gaza, dove i giovani lasciano un testamento per paura di essere dimenticati per sempre

di Andrea Follini

C’è un allarme poliomielite a Gaza. Dopo venticinque anni, la malattia si ripresenta nella Striscia. Solo a scriverlo, sembra un’assurdità, una cosa inconcepibile nel 2024. Eppure la cosa più assurda in tutta questa triste vicenda non è il ritrovamento del poliovirus di tipo 2, bensì l’impossibilità di vaccinare i circa seicentoquarantamila bambini palestinesi perché le parti in causa non si accordano per una tregua sanitaria. Così dopo la carestia alimentare, il proliferare di ogni sorta di epidemie, la distruzione degli ospedali e l’abbattimento di tre quarti dei suoi edifici, Gaza si ritrova a dover affrontare anche questo nuovo rischio, a mani nude. Disperazione su disperazione per i palestinesi nella Striscia. Sembra non portare a nulla di buono neanche l’ennesimo tentativo messo in campo dal Segretario di Stato americano Blinken, volato ancora una volta in Medio Oriente per sollecitare il raggiungimento di un accordo tra Israele ed Hamas. Blinken ha ribadito, durante l’incontro con il presidente israeliano Herzog, “l’urgente necessità” di finalizzare un accordo tra Israele ed Hamas che preveda il rilascio degli ostaggi israeliani ancora nelle mani dei terroristi e che “crei le condizioni per una più ampia stabilità nella regione”. Blinken ha anche ribadito l’impegno degli Stati Uniti per la sicurezza di Israele e gli sforzi per allentare le tensioni nell’area. Il continuo rimpallo di responsabilità nel mancato raggiungimento di un compromesso, non sposta di fatto di un millimetro lo status quo. Che è l’esatta situazione sperata dalla destra estrema israeliana, secondo cui c’è un solo modo per risolvere definitivamente la questione con Hamas, cioè radere al suolo Gaza eliminando i suoi abitanti. In attesa della tanto annunciata rappresaglia iraniana dopo l’uccisione sul suo suolo del leader di Hamas Ismail Haniyeh lo scorso 31 luglio, sono purtroppo ripresi gli attacchi suicidi di combattenti a Tel Aviv. Hamas e la Jihad islamica hanno infatti rivendicato la responsabilità dell’esplosione di domenica scorsa nella capitale israeliana ed hanno annunciato che avrebbero compiuto ulteriori attacchi suicidi in Israele “finché continueranno i massacri degli occupanti e la politica degli omicidi mirati”. In questo clima di stasi infinita, con il conflitto che ininterrottamente dura da quel tragico 7 ottobre, chi si trova a sopravvivere nella Striscia di Gaza ha visto talmente tanto orrore che la speranza di un ritorno alla pace e ad una almeno apparente normalità, diventa un miraggio. Ecco perché i giovani, in modo particolare, cercano di lasciare una traccia di se stessi in questo terribile contesto, ben consci che il loro domani non è per nulla certo. Come riporta in un dettagliato reportage il giornale israeliano Haaretz, sempre più giovani palestinesi dalla Striscia di Gaza stanno lasciando ai social il loro testamento digitale. Non sono i giovani combattenti di Hamas, vocati al martirio in onore alla loro causa, infatuati di una apologetica difesa della loro religione; ma semplici ragazzi e ragazze che non intendono cadere nell’oblio di un numero tra gli oramai quarantamila morti civili di questa folle guerra. E, come figli del loro tempo, tentano di sopravvivere a questo inferno almeno nel mondo digitale, non avendo certezza di poterlo fare in quello reale. Sono ragazzi che prima del 7 ottobre erano studenti, sportivi, artigiani, economisti, registi o attori. Sempre più si diffonde la consuetudine tra questi ragazzi di registrare un video nel quale parlare di sé, raccontarsi, dichiarare al mondo cosa sarebbe loro piaciuto diventare in un contesto diverso dalla guerra. Per essere, in caso di attacco, ancora una volta e per sempre Belal, Yaser, Mohammed, Ayat; non solo uno o una dei quarantamila. Anche se oggi, per molti, già lo sono.

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