di Rocco Romeo
L’Italia si conferma uno dei Paesi con il più grande divario retributivo di genere all’interno dell’area OCSE, con una disparità che colpisce le donne laureate. Secondo un recente rapporto, le donne italiane con un titolo universitario guadagnano in media circa la metà rispetto ai colleghi uomini, una condizione allarmante che colloca l’Italia tra le peggiori nazioni in termini di disuguaglianze di genere nel mondo del lavoro. Il divario salariale di genere è un problema complesso e profondamente radicato, frutto di una combinazione di fattori storici, culturali e strutturali. Nonostante i progressi ottenuti negli ultimi decenni in materia di parità di diritti e opportunità, le differenze retributive tra uomini e donne continuano a essere una realtà tangibile. In Italia, le donne con laurea guadagnano mediamente il 40% in meno rispetto agli uomini con lo stesso livello di qualifica e competenze. Tra le principali cause di questa disuguaglianza vi sono gli stereotipi di genere e una cultura lavorativa che ancora oggi fatica a riconoscere il valore del contributo femminile, assegnando più frequentemente agli uomini ruoli di leadership e posti dirigenziali. Spesso, già nelle prime fasi della carriera, le donne si scontrano con ostacoli significativi nella loro progressione professionale. Questo “soffitto di cristallo” è una barriera invisibile che impedisce alle lavoratrici di accedere ai ruoli più alti e meglio retribuiti. Un altro fattore determinante è la difficoltà di conciliare carriera e vita familiare, un compito che, ancora oggi, ricade in modo sproporzionato sulle donne. Le politiche di supporto alla genitorialità, come i servizi per l’infanzia o i congedi parentali, restano insufficienti, rendendo difficile per le donne mantenere un percorso di carriera stabile e remunerativo. Questo problema è particolarmente acuto nel Sud Italia, dove la disoccupazione femminile raggiunge livelli preoccupanti, con tassi significativamente più alti rispetto al Nord del Paese. Le ripercussioni del divario salariale di genere vanno oltre la sfera individuale, influenzando l’intera economia nazionale. Eppure, una maggiore partecipazione delle donne al mercato del lavoro, unita a una loro adeguata valorizzazione attraverso salari equi, potrebbe rappresentare un fattore chiave per stimolare una crescita economica più sostenibile. Non solo: garantire alle donne una parità di trattamento economico non è solo una questione di giustizia sociale, ma anche di efficienza economica, con un impatto positivo su produttività, innovazione e competitività a livello nazionale. Anche nel mondo della politica, le disuguaglianze di genere sono evidenti. Le donne sono sottorappresentate nelle cariche governative e parlamentari, con molti più uomini eletti rispetto alle loro colleghe. In alcuni casi, le donne sono promosse solo grazie all’imposizione delle quote rosa, meccanismi che garantiscono una certa percentuale di presenza femminile nei luoghi di potere, ma che, pur essendo una misura necessaria, spesso non riflettono una reale meritocrazia. Per affrontare in modo efficace il problema del divario salariale di genere, è necessario un intervento a più livelli. È fondamentale promuovere un cambiamento culturale, che parta dalla scuola e arrivi fino al mondo del lavoro, dove gli stereotipi di genere devono essere combattuti con fermezza. Le aziende devono essere incentivate ad adottare politiche di inclusione che garantiscano a tutte le lavoratrici opportunità di crescita professionale e retribuzioni eque. In particolare, occorre favorire l’adozione di politiche che facilitino la conciliazione tra vita lavorativa e familiare, come servizi per l’infanzia più accessibili e flessibili. Il cambiamento richiede tempo e un impegno costante ma è un percorso essenziale per costruire un futuro in cui le opportunità professionali e salariali non siano più determinate dal genere, ma dalle competenze, dal merito e dalla capacità di innovare. Solo così l’Italia potrà colmare il ritardo, colpevole, con i Paesi delle democrazie avanzate.