Craxi, il socialista europeo che cambiò l’Italia

di Lorenzo Cinquepalmi

Hammamet – Il venticinquesimo anniversario della morte di Bettino Craxi ha costituito l’occasione per un significativo riaccendersi dell’interesse per il personaggio e per la sua azione politica. Molti i libri pubblicati o ripubblicati, folte le presenze sulla tomba del leader socialista, inatteso ed emozionante l’intervento del Presidente Mattarella. Il popolo socialista di Hammamet, quello che ogni anno affluisce da tutta Italia, ha una composizione variegata, che va dai nostalgici ai militanti e dirigenti politici del Psi, la cui delegazione era guidata dal segretario nazionale Maraio e affiancata dalla rappresentanza della Federazione giovanile socialista. La colpevole assenza di dirigenti politici delle forze dell’opposizione di centrosinistra è stata enfatizzata dalla presenza di esponenti politici di destra, come La Russa e Tajani, che col socialismo non hanno davvero nulla a che fare: il pedigree di La Russa in particolare. Questo riporta alla radice di uno scontro diventato vivace tra la sinistra socialista e il centrodestra sull’ipotetica collocazione contemporanea della lezione di Craxi, attizzato dagli stessi interventi dei suoi due figli: Bobo, dirigente del Partito Socialista, e Stefania, parlamentare del centrodestra. Il dato storico è incontrovertibile: Bettino Craxi, solo poche settimane prima di morire, dichiarò in un’intervista di ritenersi il politico italiano più di sinistra da decenni, ancorché non comunista (o, meglio, soprattutto perché non comunista). Per calare nell’attualità questo dato oggettivo e capire se oggi le sue idee e il suo metodo riformista siano da considerare di sinistra o di destra, occorre, verrebbe da dire finalmente, cercare di dare una definizione di sinistra secondo il nostro tempo. Per un socialista europeo, sinistra è voler diffondere il benessere e assicurare a chiunque almeno una soglia dignitosa e soddisfacente di esso. Sinistra è garantire la giustizia sociale: un’effettiva eguaglianza di opportunità, di riconoscimento dei meriti, di soccorso dei bisogni, di tutela dei diritti. Sinistra è promuovere la crescita economica, sociale, culturale di tutti, ripartendo equamente su ogni classe, in modo proporzionale ai mezzi, il peso dello sforzo necessario per crescere. Sinistra è difesa della libertà, di ogni libertà che non leda quella altrui; ed è solidarietà, affermazione del principio per cui ciascuno contribuisce secondo le sue possibilità al patrimonio comune che assicura il sostegno a chi è nel bisogno. La destra è il contrario di tutto questo: concentra la ricchezza, impoverisce le masse, nega i diritti, comprime le libertà. Per un socialista europeo, la condivisione del benessere attraverso il governo dell’economia sociale di mercato, la garanzia delle libertà, la realizzazione della giustizia sociale, sono le missioni, la ragione di esistere del socialismo, che, evidentemente, non può che essere di sinistra. Anzi, e meglio, essere “la sinistra”. Rispetto a tutto questo, e ripensando all’azione politica di Craxi, del suo governo negli anni ‘80 del ‘900, e alle tesi che il partito da lui guidato enunciava trent’anni fa, si deve riconoscere che la debolezza strutturale della sinistra italiana nei tre decenni successivi è dipesa dall’incapacità di elaborare una chiara proposta politica costruita sulle proposizioni con cui si è qui cercato di definirla, cioè sul metodo socialista: analizzare le dinamiche concrete, sociali ed economiche del Paese, per costruire proposte politiche capaci di tosare la ricchezza ma non di abbatterla, per combattere la povertà e per assicurare a chi merita di crescere per contribuire, crescendo, alla crescita di tutti senza sottrarvisi. E, nel contempo, assicurare a ciascuno la libertà di pensiero, di espressione, di fede, di piena realizzazione della propria individualità attraverso la tutela dei diritti, così come si garantisce la libertà dal bisogno. E infine offrire a tutti, senza confini e ovunque, la libertà dalla paura, da ogni paura: del nemico esterno o interno, della povertà, dell’odio e della discriminazione, della malattia, della solitudine. In questi trent’anni la sinistra italiana ha galleggiato su formule ondivaghe e ridotte a slogan privi sia di contenuto che di costrutto: dall’infelice “anche i ricchi piangano” al nefasto “abbiamo abolito la povertà” passando per il grottesco “ma anche” che fu il manifesto fondativo del maggiore partito del centrosinistra italiano: essere al tempo stesso una cosa ma anche un’altra, diversa, per molti versi contraria. Così acconciata, la sinistra ha inseguito effimeri consensi con provvedimenti estemporanei privi di visione e di capacità di incidere strutturalmente sulle dinamiche economiche e sociali del Paese che, nello stesso arco di tempo, si è indebolito e impoverito a vantaggio di un ceto sempre più ristretto di cittadini. Per scelta programmatica, quando governava la destra, per incapacità di vincere l’inerzia e invertire la tendenza, quando ha governato la sinistra. In questa prospettiva, la polemica su chi, tra destra e sinistra, stia interpretando oggi la lezione di Craxi, è tanto sterile quanto lunare: non può certo intestarsela la destra, per il semplice fatto che non può geneticamente avere come missione la perequazione sociale a favore degli ultimi, e che comprime istintivamente libertà e diritti, con un’idea e un’azione di governo autoritarie e repressive. Ma, purtroppo, non può nemmeno reclamare l’eredità craxiana una sinistra che, per evidente smarrimento della sua base teorica, si è troppo a lungo dimostrata incapace di interpretare il riformismo progressista della socialdemocrazia europea, di cui Craxi era uno degli esponenti più acuti e autorevoli. Da questo anniversario, dunque, viene un’indicazione univoca, per il vero già colta anche da qualche avveduto commentatore: è maturo il tempo per la costruzione di una sinistra nuova, capace di reimpossessarsi della sua missione socialdemocratica e di elaborare le linee d’azione attraverso le quali affermare, in Italia e in Europa, una nuova politica di crescita e di benessere diffuso. Se chi oggi siede nella metà sinistra degli emicicli parlamentari sarà capace di superare le meschinità dell’oggi per coltivare le speranze del domani, allora davvero potremo veder sorgere una grande e generosa forza politica riformista e di progresso, di quella specie che, in tutto il mondo, si identifica in una sola parola: socialista.

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