Cinque milioni di fuori sede spaventano il Governo Meloni

di Carlo Pecoraro

Ve lo ricordate il film “Bianco, rosso e Verdone”? Era il 1981 e il regista e attore Carlo Verdone raccontava i “viaggi della speranza” di alcuni italiani per raggiungere i comuni di residenza per esercitare il proprio diritto al voto. In quel film, Verdone raccontava i “fuori sede”, quelli che ancora oggi attraversano l’Italia per poter votare. Abbiamo riso molto di quei personaggi, mettendo forse in secondo piano il problema che ancora oggi è incredibilmente attuale. Sono passati 43 anni e l’Italia è ancora ferma a quelle scene tremendamente reali. A luglio, con il via libera alla Camera, sembrava fatta ma, atterrata in Senato, la legge che predispone le norme attuative per consentire il voto ai fuori sede, pare essersi arenata. E poco importa se l’astensionismo dilaga ed è un problema denunciato dalle forze politiche a tutte le latitudini: ancora una volta chi studia o lavora fuori dal comune di residenza, non potrà esercitare il proprio diritto se non rientrando a casa. Già a luglio si era capito che i tempi non c’erano per il voto alle europee. Anche se fosse arrivato il via libera al Senato, la proposta di legge delega approvata alla Camera dava all’Esecutivo un anno e mezzo di tempo per approvare definitivamente la nuova norma. Un escamotage del governo Meloni per congelare tutto. Il tempo necessario per impedire il voto fuori sede alle elezioni europee, che sono diventate un delicatissimo punto di svolta per la maggioranza dove riaffermare la propria forza e ridurre in frantumi il centrosinistra. L’iniziativa sul voto dei fuori sede, è bene ricordarlo, era arrivata dai partiti d’opposizione ma con un trucco, l’approvazione di un emendamento: la maggioranza “trasformò” la proposta di legge in una legge delega, affidando quindi al governo il compito di intervenire sulla materia. A luglio, la decisione arrivò senza alcun dialogo con le opposizioni. Alla Premier si chiedeva infatti di approvare la norma entro tre mesi e di estenderla anche per le elezioni politiche. Una pia illusione. Il testo è composto di un solo articolo e appunto dispone di una delega al governo, che le opposizioni hanno bollato come “delega in bianco”, con un duplice oggetto: la disciplina dell’esercizio del diritto di voto degli elettori che per motivi di studio, lavoro, cura, assistenza prestata in qualità di caregiver familiari, si trovano in un comune situato in una regione diversa da quella del comune di residenza; la rimodulazione delle tariffe agevolate per i servizi di trasporto in favore degli elettori che si recano a votare nel comune di residenza. Fine della storia. Perché questa legge fa paura alla maggioranza? Semplicemente offre maggiori possibilità di partecipazione a circa cinque milioni di elettori che, con il proprio voto, potrebbero anche cambiare le carte in tavola. E allora meglio non scoprire ora il gioco. Cinque milioni di elettori, sarebbero un mano santa in tempi di astensionismo. Cinque milioni di fuori sede, tradotti in soldoni, significa circa il 12% della popolazione italiana e il 10% dell’elettorato. Una fetta consistente che resta praticamente tagliata fuori da un diritto sancito dall’articolo 48 della Costituzione, che regola l’esercizio del diritto di voto a tutti i cittadini, in modo tale da garantire la piena partecipazione degli elettori al processo democratico. A dare battaglia contro questa ingiustizia è il comitato “Voto dove vivo”, che ha lanciato una petizione, accompagnata da una robusta campagna di comunicazione, per provare a dare una sveglia al governo. Nello spiegare l’importanza della petizione, il comitato sottolinea un paradosso: se viviamo, per motivi di studio, lavoro o cura, in una città italiana in cui non abbiamo la residenza siamo costretti a prendere un aereo, un pullman, un treno o comunque a spostarci e quindi a spendere soldi ed energie per poter esercitare il nostro diritto di voto. Invece se viviamo all’estero, anche dall’altra parte del mondo, possiamo votare senza alcuna difficoltà nel luogo in cui ci troviamo, attraverso il sistema del voto per corrispondenza, non essendo costretti a viaggiare. Un paradosso che, in effetti, è una assurdità. L’Italia, neanche a dirlo, rimane l’unico grande paese europeo a non garantire il diritto di voto agli elettori fuori sede. Dietro di noi solo Malta e Cipro, ma stiamo parlando di isole piccole dove per spostarsi da una comune all’altro si spende molto di meno e occorre molto meno tempo. La mancata approvazione di questa legge è un altro segnale di un Paese spaccato a metà. Dove il Sud, in questo caso una parte del suo elettorato, soprattutto giovani, è sostanzialmente impedito di esercitare il proprio diritto pur sapendo che una fetta consistente di studenti e di lavoratori vive al Nord. Il grido delle opposizioni è accolto da una maggioranza sorda, che attua metodi poco democratici, quando trasforma una proposta in quota all’opposizione in una delega in bianco al governo. E ancora, c’è un problema di merito: quello di togliere di mezzo le elezioni politiche, ovvero quelle più importanti, cuore dell’introduzione nel nostro ordinamento di questo diritto di voto per i fuori sede.

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