‘CHI SIAMO’. L’editoriale di Riccardo Nencini dopo il CN

Il congresso è stato dunque convocato, il sesto in dieci anni. Abbiamo il tempo necessario per organizzarlo come si deve: precisare la linea politica, farla valutare dalle assemblee provinciali e dai congressi regionali. Intanto c’e’ una base di partenza: il documento approvato con voto unanime dal Consiglio Nazionale. Apertura all’intero mondo socialista, formazione di una coalizione europeista a cominciare dalla Rosa nel Pugno. È già qualcosa di fronte a una crisi della sinistra italiana che non ha uguali nella storia della repubblica.
Dieci anni fa il sistema politico italiano si fondava sullo schema classico destra-sinistra: il Popolo delle Libertà guidato da Berlusconi, una sinistra egemonizzata dal Pd di Veltroni nato proprio con l’obiettivo di contrastare quella coalizione. Di quella storia non è rimasto proprio nulla. Nulla sul piano politico, ben poco sul fronte sociale. La fotografia della sinistra, oggi, non è migliore: sciolti Civica Popolare e Leu, in via di ridefinizione Più Europa, il Pd a congresso oscillante tra il ritorno al passato (Ds?) e una forma politica più aperta. Continuo a pensare che il nodo da sciogliere sia quale strategia deve darsi la sinistra riformista per affrontare un tempo nuovo. Schema e proposte novecentesche sono inadeguate. Lo dirò al congresso del PSE a Lisbona, tra poche settimane.
Dieci anni fa il PSI si dibatteva in una situazione di emergenza che avrebbe potuto decretarne la fine. Ricordo chi eravamo: la Costituente Socialista raggiunse i 60.000 iscritti ma al congresso di Montecatini (2008) non eravamo più di 10.000; il bilancio di cassa consentiva autonomia per soli cinque mesi; non eleggemmo alle Politiche nessun parlamentare (0,9%), per la prima volta da oltre un secolo; morta la Costituente Socialista ed usciti dal partito i 4/5 dei dirigenti che la rappresentavano, non avevamo una linea politica; l’Avanti e Mondoperaio erano in tilt. Restava una presenza nei comuni – poco diffusa al nord e rara nelle città capoluogo di regione – e in diversi consigli regionali. La drammatica caduta iniziata nel 1992/93 poteva portarci alla scomparsa. Il gruppo dirigente eletto a Montecatini ha salvato una storia e una comunità. Non è stato facile. Lo sa bene chi ha tenuto alta la bandiera nelle province. Errori? Si, ce ne sono stati. Un eccesso di unanimismo che spesso, all’indomani delle elezioni politiche, si è trasformato in divisioni figlie, più che del dissenso, della mancata soddisfazione di legittime ambizioni. Le polemiche generate ci hanno indebolito, senza dubbio. Troppe lotte fratricide nelle regioni, poi, e sempre al tempo del voto regionale. Le difficoltà a dare concretezza sul territorio a iniziative mirate: primarie delle idee e raccolta delle firme su cinque nostre proposte di legge popolare tra il 2008 e il 2010, voto ai sedicenni nei comuni, gioco d’azzardo, pensioni, migranti e altro negli anni successivi. La prova di una comunità che stenta a mobilitarsi, anche per ragioni di età.
C’è chi ritiene sia stato un errore non presentare il nostro simbolo nel 2013. Può darsi. La verità è che il Pd di Bersani ci nego’ l’apparentamento (fu dato a Tabacci per formare una coalizione di centro-sinistra). Avremmo dovuto fare di più – avrei dovuto fare di più – sul fronte di un riformismo più radicale, questo si. Si sono invece rivelate chiacchiere senza fondamento le opinioni di chi sosteneva che avrei portato i socialisti nel Pd. La lista ‘Insieme’ è nata proprio per evitare quell’abbraccio e il mantenimento di un’organizzazione autonoma, seppur senza finanziamento pubblico, ha preservato la nostra autonomia.
Resta il fatto che siamo in piedi, unico partito addirittura dell’Ottocento, e che al congresso andremo per aprire un nuovo ciclo. Con le carte in regola: tesseramento iniziato, Mondoperaio, Fondazione Socialismo e Avanti messi al sicuro, bilancio approvato, una linea politica in costruzione, un centinaio di sindaci, alcune centinaia di amministratori locali, un pugno di eletti nelle regioni. Non è poco. Nondimeno è alla politica che bisogna guardare e a tenere unita la comunità socialista.
Eppure, nel dibattito interno leggo solo marginalmente il profilarsi del pericolo di una destra radicale che punta a sostituire la società aperta nata con la costituzione con una società fondata sul nazionalismo etnico. Quello è il fronte su cui dobbiamo impegnarci fino dalle prossime elezioni amministrative ed Europee. Meglio non da soli. Sarà indispensabile coinvolgere sindaci civici, movimenti ed associazioni democratiche e laiche, come stiamo facendo, per fronteggiare un vento che si abbatterà su decine e decine di comuni al voto. Sarà un lungo deserto – il ‘diciannovismo’ non si spazza via con un colpo di spugna – che solo una sinistra profondamente rifondata potrà attraversare. Noi faremo la nostra parte. C’è una condizione, però: uscire dalle diatribe senza politica, dal rancore che la rete alimenta, e dal ‘chi eravamo’. Se si hanno idee, si torni nel partito e le si facciano valere.
Riccardo Nencini

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