di Alessandro Silvestri
Anno 2013: Sardegna. 2014: Modena, Ancona, Treviso, Genova, Parma, Carrara, Golfo del Tigullio, Savona, Imperia, Alessandria, Milano, Monza e Brianza. 2015: Piacenza, beneventano, Calabria Jonica. 2017: Livorno, Reggio Emilia. 2018: Trentino, Dolomiti bellunesi, Carnia, palermitano. 2019: Province di Alessandria e Genova, Matera, alessandrino e savonese, Venezia. 2020: Palermo e messinese, gran parte del Piemonte, alcune zone della Val d’Aosta, Liguria ed Emilia. 2021: Lago di Como, province di Catania e Siracusa. 2022: Umbria e Marche, Ischia. 2023: Emilia Romagna, provincia di Pesaro Urbino, Bardonecchia, Sondrio, province di Firenze, Prato, Pistoia e Pisa. Una sorta di bollettino di guerra. Negli ultimi dieci anni quasi tutto lo stivale è stato colpito da alluvioni più o meno devastanti, ma sempre drammatiche per chi le ha vissute. In Toscana c’è ancora molta gente che ha negli occhi il 1966. Sono immagini indelebili che non vanno più via. Se parli con un livornese della sua Livorno del settembre 2017 l’espressione abituale, allegra e birbante, muta bruscamente e il pensiero corre a quei torrentelli solitamente placidi, l’Ardenza e il Rio Maggiore, che in una notte causarono 8 morti e 13 feriti oltre alla solita lunga lista dei danni. Conteggi che non tornano mai. E così in queste ore di un novembre insolitamente caldo, una pioggia grossa come chicchi di granturco è venuta giù a valanga, scaraventando torrenti e fiumiciattoli al di fuori dei loro letti abituali e di quei pochi argini che tentano, spesso malamente, di contenerli. Non è più l’Arno oggi a fare paura, grazie a tutte le opere idrauliche a valle e a monte che sono state realizzate dopo le note ferite. Le casse di espansione e gli scolmatori verso il pisano e il mare, e la diga di Bilancino nel Mugello (due piccioni con una fava, perché salva i territori a valle dalle inondazioni per l’effetto della laminazione delle piene e dalle sempre più frequenti siccità delle estati che si allungano…). Un’ opera voluta fortemente dai primi presidenti della neonata regione Toscana, Lelio Lagorio e Mario Leone, sostenuti concretamente a Palazzo Chigi da un certo Bettino Craxi. Eh sì, vanno ricordate ammodo le cose. Con il PCI e la DC del tempo costantemente in posizioni di retroguardia se non propriamente contrarie su questa e troppe altre cose. Tipo il MOSE a Venezia. E come garbava tanto prenderlo per i fondelli, alla stampa irreggimentata, il ballerino dai capelli lunghi e unti di brillantina. Come si chiamava? Ah già, Gianni De Michelis. Gentaccia, nessuno li rimpiangerà… Nei disastri di oggi invece, nonostante sarebbe utile investire molti più soldi nelle opere di prevenzione e manutenzione dei territori, almeno abbiamo una rete di protezione civile più robusta e organizzata di un tempo e questo certo aiuta ad alleviare, ma non risolve nulla. Possibile che con l’enorme quantitativo di fondi europei del PNRR, non si sia pensato di usarne una larga fetta per combattere il dissesto idrogeologico ormai endemico di questo Paese? Perché si sono regalate enormi somme ai truffatori e agli evasori che si sono avventati, senza alcun doveroso controllo, sul 110%, per truccare i conti per due-tre anni, drogando l’economia? È davvero così cinica e meschina la politica dei nostri tempi? Mentre si continua a morire e a piangere se un fiumiciattolo lasciato all’incuria per un certo numero di anni, dalle varie pubbliche amministrazioni, all’improvviso esonda, o se una collina dove non si è effettuato alcun lavoro di rimboschimento e contenimento, viene giù al primo acquazzone e seppellisce la vita e i sogni delle persone? Quante decine di migliaia di lavoratori si potrebbero impiegare stabilmente per questi lavori ultra-necessari alla cura del territorio? Di sicuro eviteremmo di nominare commissari su commissari per ratificare i conteggi milionari delle nostre inefficienze, culturali, burocratiche e politiche.