“Lib-Lab”, la Grande Riforma e il socialismo tricolore. L’eredità dei socialisti ancora attuale

di Francesco Di Lorenzi

A poco più di un anno dalla sua scomparsa, vogliamo ricordare Ugo Intini, già indimenticato direttore di questo giornale ed esponente socialista di lungo corso, con alcuni dei molti insegnamenti che ha lasciato in eredità ai socialisti di oggi e, soprattutto, di domani, tanto il suo pensiero è stato precursore di tendenze e prese di posizione puntualmente avveratisi. Dobbiamo necessariamente scegliere, perché la sua eredità politica e culturale ci appare sempre più vasta e non crediamo di esagerare in agiografia se riteniamo che molte delle sue opere rappresenteranno, nei prossimi decenni, vere e proprie pietre miliari su cui studiare non solo la storia e i protagonisti del socialismo italiano e del movimento operaio, ma anche tematiche più generali, come la clamorosa trasformazione della politica e della società avvenuta nell’ultimo trentennio. Libri come “La privatizzazione della politica” o “Lotta di classi”, così come l’ultimo formidabile lavoro “Testimoni di un secolo”, forniranno ancora a lungo risposte adeguate alla crisi dei partiti e della rappresentanza democratica, con analisi originali e ricche di spunti incredibilmente attuali. A poche settimane dalla celebrazione del nostro importante congresso straordinario vogliamo tuttavia soffermarci su tre punti che considerava aspetti fondamentali dell’eredità politica della grande stagione socialista degli anni ottanta, di cui fu indiscusso testimone e protagonista. Sua fu la celebre definizione “lib-lab”, che creava un nuovo ponte tra culture riformiste e moderate, in nome di quel socialismo liberale che, già anticipato decenni prima da Carlo Rosselli, si presentava come alternativa concreta e credibile al cosiddetto fronte della conservazione rappresentato dal Pci e dai settori più refrattari della Dc. Un’eredità che continua a parlarci anche oggi, perché abbiamo la necessità di un nuovo e fecondo dialogo tra socialisti, cattolici e liberali per costruire la gamba dell’innovazione e delle riforme di un nuovo centro-sinistra e che, badate bene, niente ha a che fare con formule neo centriste o moderate. Si tratta, al contrario, di essere radicalmente riformisti e nell’Italia di oggi un progetto realmente liberalsocialista farebbe gridare i conservatori di tutte le risme allo scandalo e al pericolo rivoluzionario. Il secondo tema è quello della Grande Riforma delle istituzioni, una battaglia fondamentale che vide nuovamente i socialisti in prima fila nell’immaginare un assetto dello Stato più moderno e più vicino ai cittadini e che li portò a sdoganare parole tabù come presidenzialismo; oggi una certa sinistra ancora troppo spesso schierata sul fronte della conservazione dell’esistente, ha consegnato anche questa sfida così decisiva nelle mani di una destra pasticciona e priva di cultura istituzionale, con il risultato di discutere bozze di riforme incostituzionali in partenza, trasformando una questione così rilevante nel solito spot elettorale utile per il solo periodo della campagna elettorale. C’è bisogno, al contrario, della cultura e della sensibilità politica dei socialisti per rilanciare una vera Grande Riforma che snellisca il nostro complesso sistema istituzionale, rafforzando le capacità operative dei governi ma all’interno di un sistema che ponga il parlamento ed i partiti al centro della democrazia. È il vecchio quanto fondamentale tema dei pesi e dei contrappesi, che Craxi ed il Psi hanno sempre posto come la stella polare da seguire per modernizzare le istituzioni, all’interno dei confini della Carta repubblicana e dei suoi valori fondamentali che il governo in carica tende ad ignorare un giorno sì e l’altro pure. La terza intuizione che Intini sottolineava è quella del cosiddetto “socialismo tricolore” ed anche in questo caso il tema risulta pienamente attuale; di fronte ad una destra che, ad ogni latitudine, si appropria in maniera unilaterale e demagogica delle parole patria e nazione, occorre ricordare a tutti le radici di sinistra, repubblicane e democratiche del nostro Risorgimento e della nostra storia nazionale. Craxi lo fece in maniera straordinaria ridando centralità e lustro, per esempio, alla figura di Giuseppe Garibaldi ma in generale tutto il partito lavorò sul piano storico e culturale per rinsaldare il ricordo dei protagonisti del processo di unità e delle sue avanguardie più avanzate; dai fratelli Bandiera a Carlo Pisacane, dal padre della patria Giuseppe Mazzini all’epopea dei Mille, fino agli eroi della grande guerra, come il socialista irredentista Cesare Battisti, e ai martiri della Resistenza, la nostra storia si intreccia con le pagine e gli esempi più belli di questa nazione. Siamo socialisti e patrioti perché, come ricordato splendidamente da Roberto Benigni poche settimane fa, “amiamo profondamente l’Italia” nel rispetto di ogni Paese e cultura. L’eredità politica e culturale che ci lascia Ugo Intini è immensa ma forse il regalo più grande che ci ha consegnato è proprio la sua straordinaria capacità di “viaggiare” attraverso il patrimonio inestimabile della storia socialista in una sorta di macchina del tempo. In cosa consiste? Ce l’ha spiegato lui stesso con queste indimenticabili parole: ”Una “macchina” in grado di far rivivere voci provenienti da un passato lontano. Cosa fosse, l’ho imparato da Nenni. Si basa sulla memoria dei vecchi e sull’ascolto dei giovani. L’anziano leader diceva spesso: ”Come era bella la Repubblica sotto l’impero!”. “Che cosa significa?”, gli ho chiesto un giorno. “Negli anni ’20, quando ero in esilio in Francia ascoltavo i compagni della Comune di Parigi del 1870. Dicevano sempre così. Quando lottavano contro l’impero di Napoleone III, la Repubblica sembrava loro bella, bellissima; poi, quando finalmente l’hanno ottenuta, si è dimostrata una delusione, come spesso accade nella vita”. Ho ascoltato dalla voce di Nenni le parole di chi ha vissuto il 1870…Le posso ripetere a chi sarà ancora al mondo nel 2070 e che forse le racconterà a qualcuno pronto a raccontarle a sua volta nel 2140”. Grazie Ugo. Grazie direttore.

 

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