Tra Usa e Ue una stretta di mano che scontenta tutti

di Stefano Amoroso

Col passare delle ore l’accordo quadro siglato domenica 27 luglio in Scozia tra la Presidente della Commissione europea, Ursula Von der Leyen, ed il Presidente degli Stati Uniti d’America Donald Trump, piace sempre meno agli europei e non entusiasma gli americani. Se inizialmente l’accordo di Turnberry era stato salutato con un sospiro di sollievo per lo scampato pericolo, col passare delle ore le analisi si sono fatte via via più negative. Esemplare il caso del Cancelliere di Germania, Friedrich Merz, che all’inizio aveva praticamente esultato per l’azzeramento dei dazi sugli aeromobili, e per il quasi dimezzamento delle tariffe sulle auto e sue componenti: lunedì mattina, al risveglio, evidentemente dopo aver letto i titoli dei giornali e parlato meglio con i suoi consiglieri, ha parlato di effetti assai negativi per l’economia tedesca, che col passare del tempo sono diventati “devastanti”. Furente il governo francese e adirato quello spagnolo secondo quanto riportano le cronache, mentre Orban, premier ungherese, col suo solito aplomb dice che “Trump si è mangiato Von der Leyen a colazione”. Anche un commentatore solitamente compassato come Caracciolo, direttore della rivista Limes, la tocca piano: “Von der Leyen non capisce nemmeno quello che dice”. Ma il capolavoro retorico è di Salvini: pur di non dire nulla che possa contrariare l’alleato Trump, proclama serio: “il vero dazio per le imprese è il green deal”. Come no! È proprio vero che le vittorie hanno molti padri mentre le sconfitte sono orfane. O al massimo hanno un genitore single: in questo caso, la Von der Leyen. La verità, come sempre, sta nel mezzo: si tratta di un accordo quadro, che andrà poi dettagliato, per cui i dazi hanno una base del 15% con possibili eccezioni negative (al momento, le più vistose sono quelle su alluminio ed acciaio, con dazi al 50%) ma ci sono anche delle esenzioni, alcune delle quali già previste, per esempio su aeromobili e loro componenti, e altre su cui si può lavorare. Tutto il resto, di cui ha parlato Trump, pare frutto più dei suoi desideri che della realtà: la Ue non gestisce direttamente né gli acquisti di energia, né di armi, né di titoli del debito stranieri. Pertanto, nell’incontro nella località della Scozia meridionale con Trump, è impossibile che la Von der Leyen si sia potuta impegnare su nessuno di questi dossier. E nemmeno sugli investimenti europei negli Stati Uniti. Questi restano, al momento, dei legittimi desideri di Trump, ma non un impegno scritto europeo. Soprattutto l’acquisto di costoso gas liquido dagli Stati Uniti, per 250 miliardi di dollari all’anno, appare poco fattibile se pensiamo che l’Europa acquista combustibili fossili per 376 miliardi di dollari all’anno e che molte di queste importazioni sono frutto di accordi di durata pluriennale, che non possono essere stracciati dall’oggi al domani se non si vogliono pagare penali assai salate. Se questo è il contesto, e molto resta ancora da decidere, non si capisce perché mezza Europa protesti contro un accordo che evita incertezza e guerra commerciale con il nostro principale mercato di sbocco extra europeo, vale a dire gli Stati Uniti. Giova ricordare che chi non ha voluto chiudere un accordo finora, ed ha scelto il muro contro muro, come la Cina ed il Canada, sta ancora pagando un conto salatissimo in termini di incertezza, crollo dei mercati e riduzione degli investimenti, con le relative ed inevitabili ricadute occupazionali. L’Europa deve fare un bagno di realismo e rendersi conto che trattare con una pistola puntata alla tempia è già difficile, ma con due è proprio impossibile: se da un lato ti minaccia il tuo principale cliente extra europeo, che è contemporaneamente anche il garante della tua difesa, e nello stesso tempo hai la gigantesca macchina da guerra russa pronta a mangiarsi mezza Europa in un sol boccone, non hai altra scelta che chiudere un fronte per concentrarti sull’altro: o si faceva la pace con la Russia, cosa che si è rivelata impossibile per diversi motivi, o si doveva farla con gli Stati Uniti. È stata scelta la seconda strada, mentre il conflitto in Ucraina prosegue e Putin si trova davanti un avversario più ostico di quanto pensasse, mentre la sua economia di guerra mostra evidenti segnali di affaticamento. Il governo Meloni, che è stato tra i più silenziosi nella fase delle trattative, continua a tenere un basso profilo e rinvia il giudizio in attesa di conoscere i dettagli dell’accordo: un cambiamento notevole per chi, fino a poco tempo fa, voleva cambiare l’Europa ed ora si accontenta di fare il correttore di bozze degli accordi europei. Irrilevanza allo stato puro.

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