di Alessandro Silvestri
Di nuovo il caso Paragon torna a tenere banco nella cronaca politica italiana. Una vera e propria Spy Story, ma appunto, all’italiana, ovvero senza i crismi di attenzione, delicatezza, tempestività e serietà dei provvedimenti che andrebbero presi da chi di dovere. Anche perché secondo le dichiarazioni rese note dalla società Paragon, questa si sarebbe prontamente messa a disposizione delle autorità italiane ma per adesso nessuno li avrebbe cercati. Giustamente che fretta c’è con tutte le cose più serie e importanti di cui occuparsi a partire dai dossier internazionali, dalla stretta sulla sicurezza, dalla tenuta della maggioranza a geometria variabile e corrente alternata, che mettono a repentaglio quotidianamente la democrazia e la stessa stabilità del governo di questo Paese? Meloni non ha nascosto, rispondendo al Senato alle domande di Matteo Renzi, il suo totale disinteresse per il caso, che ha liquidato così: “Rispondo solo alle questioni che ritengo veramente importanti”. Quindi per il governo, no, giornalisti spiati non sono una questione importante. Amarezza ma non stupore ha espresso Roberto D’Agostino dopo aver appreso di essere anche lui tra i giornalisti spiati con il software militare Graphite. Il nome del fondatore di Dagospia è saltato fuori dopo che la procura di Roma, in accordo con quella di Napoli, ha disposto una serie di accertamenti tecnici sui telefoni di sette persone parti lese nell’indagine. Oltre a D’Agostino si tratta, come sappiamo, di altri tre giornalisti, Francesco Cancellato e Ciro Pellegrino, direttore e giornalista di Fanpage.it, della blogger di origine olandese Eva Vlaardingerbroek e degli attivisti della Ong “Mediterranea” don Mattia Ferrari, Luca Casarini e Giuseppe Caccia. Nell’indagine si procede al momento contro ignoti (ma viene in mente il film “I soliti ignoti”) per accesso abusivo a sistema informatico e quanto previsto all’articolo 617 del codice penale sui relativi reati. Roberto D’Agostino, ha fondato e dirige il sito Dagospia che pubblica da 25 anni indiscrezioni su personaggi della politica, dell’imprenditoria e dello spettacolo, alternando e spesso anticipando, notizie delicate e gossip. Secondo quanto scrive Fanpage, il suo telefonino sarebbe un iPhone per cui la notifica che avvisava il giornalista dello spionaggio potrebbe essere stata inviata da Apple. Anche Gad Lerner ha sottolineato in tv che D’Agostino è dentro i temi e le notizie più sensibili dei giochi di potere nazionali, per cui è comprensibile che sia finito anche lui nella rete degli spioni, ma questo è assolutamente non giustificabile. Vieppiù perché in un Paese normale si sarebbe già dovuto sapere chi ha ordinato cosa e perché. Oltre alla magistratura, sulla vicenda è al lavoro anche il Copasir, che in una relazione consegnata alcuni giorni fa ha confermato come Paragon sia stato utilizzato per monitorare gli attivisti di Mediterranea con regolari autorizzazioni. Cosa che non sarebbe avvenuta per le intercettazioni a danno dei giornalisti. Nei giorni scorsi, l’azienda israeliana è intervenuta con una nota riportata dal quotidiano Haaretz ricordando di aver interrotto i suoi rapporti commerciali con l’Italia a seguito di sospetti di un uso improprio che eccedeva le condizioni d’uso definite nel contratto con la società. L’azienda raccomanda di rivolgere qualsiasi domanda in merito alla presunta sorveglianza di giornalisti italiani al governo italiano, in quanto è l’autorità sovrana del Paese responsabile di garantire il rispetto della legge”. Più chiaro di così…Sulla querelle è intervenuto più volte anche Matteo Renzi, che nel “ramo” servizi ha notoriamente esperienza e pure il dente avvelenato. Lo ha fatto sia in aula che sui media, dove dalla Gruber ha sottolineato “che quando un governo litiga con i giornalisti è normale, ma quando ne spia i telefoni è la democrazia ad essere in serio pericolo”. Ha poi fatto una battuta delle sue parlando di “Giorgia spia” in luogo di Dagospia, relativamente alle novità emerse. Insomma la faccenda pur non essendo così grave come lo scandalo dell’albergo Watergate di Washington del 1972, che portò alle dimissioni di Nixon – nessun esponente dell’opposizione risulta spiato dal software in questione – è tuttavia molto seria perché limita l’autonomia della stampa da parte di organi governativi e istituzionali di massima sicurezza. Anomalia manifesta, excusatio non pervenuta. In un Paese normale qualcuno sarebbe stato prontamente dimesso. Invece, essendo noi maestri di tecniche di sopravvivenza e del tirare a campare, da ottimi navigatori terracquei, si va avanti con tutta calma. E a vista.