di Giada Fazzalari
Produrre acciaio in Europa ad un prezzo competitivo con chi lo produce senza alcun vincolo sociale e ambientale, è pressoché impossibile. Le sacrosante tutele legali a favore dell’ambiente e dei lavoratori, con i relativi costi, e i livelli salariali occidentali, rendono impossibile la competizione con produttori residenti in Paesi meno rigorosi. Questo stato di cose pare condannare inappellabilmente l’ex Ilva di Taranto alla chiusura definitiva. Eppure, ci sono due ordini di ragioni contrarie a questo destino: la prima è che, tra lavoro diretto e lavoro indiretto, la chiusura priverebbe del reddito vitale venticinquemila famiglie; la seconda è che l’acciaio è una produzione strategica, della quale l’Europa è l’Italia non possono privarsi se non a prezzo di restare in una posizione di soggezione inaccettabile rispetto, per esempio, alla Cina. E poi quali ripercussioni avrebbe sul tessuto sociale di tutto il sud l’abbandono di questo importante settore strategico di produzione? Quali ricadute sul resto dell’industria italiana e sul Pil del Mezzogiorno, già precario? Sono interrogativi che a coloro cui la scelta sul futuro di questa realtà industriale è demandata, debbono obbligatoriamente porsi. Non si fa industria senza acciaio, e se l’acciaio e di altri, si finisce col fare solo l’industria che piace agli altri. Quindi l’Ilva è un problema di tutta l’Europa, sia nel suo aspetto sociale che in quello strategico. Cosa aspetta il governo a sollevare la questione in Europa in questi termini? Il destino di venticinquemila famiglie dipende dalla capacità di mobilitare i miliardi che servono per adeguare la produzione agli standard normativi, per garantire la tutela dell’ambiente e della salute dei cittadini e per sostenere una produzione strutturalmente in perdita ma irrinunciabile. Tema che implica una scelta epocale: abbandonare la logica di mercato come unico criterio di scelta? È tempo di tornare alla politica, che l’Europa ritorni alla politica. Taranto, come altre realtà industriali storiche nel nostro Paese, attendo risposte non più rinviabili; attendono investimenti adeguati a rendere moderna una produzione antica. Attendono un piano di rilancio generale che faccia tornare il nostro Paese la potenza economica che era un tempo, riconosciuta e riconoscibile. Lo si deve almeno al grande sacrificio che Taranto ha protratto in tutti questi anni. L’imperativo è salvare l’Ilva. O sarà bomba sociale.