di Francesco di Lorenzi
Oggi, trentatré anni dopo lo tsunami politico giudiziario del 1992 e l’inizio della lunga marcia nel deserto di ciò che rimase e resistette del Psi, possiamo con una punta di orgoglio rivendicare una serie di importanti risultati e di dati fattuali che se, probabilmente, non mettono il punto al nostro difficile percorso di ricostruzione, quanto meno lo rendono più leggero e con delle prospettive differenti. Il partito più antico della sinistra italiana esiste e cresce, celebra congressi, si presenta ad ogni tipo di consultazione elettorale, elegge amministratori, partecipa a pieno titoli a coalizioni ed alleanze di centro-sinistra, edita con orgoglio il suo storico giornale, è presente sui social ed inizia, lentamente, a non essere ignorato dai principali canali di informazione radiotelevisivi, ha un gruppo dirigente giovane e coeso che, pur nelle sacrosante differenze, lavora unitariamente per riaffermare con orgoglio l’indispensabile presenza dei socialisti in questo Paese. Certo esistono ancora difficoltà e criticità, in particolare in alcune aree territoriali, ma è davvero difficile non notare un cambio di rotta favorito anche dal vento in poppa che, finalmente, soffia nella direzione di un’ampia rivalutazione dell’esperienza politica della prima repubblica in generale e della figura di Bettino Craxi in particolare e che è culminata con gli innumerevoli attestati di stima e di cordoglio per il venticinquesimo anniversario della sua scomparsa. E tuttavia persiste, in una parte di mondo socialista non organica al partito, una frequente critica, legittima ci mancherebbe, sulle posizioni che il Psi assume sulle principali questioni del momento, tacciandole di volta in volta come estremiste, massimaliste, perfino antipolitiche. Conosciamo bene gli oltre 130 anni di storia del partito per comprendere che le divisioni, le sfumature, le interpretazioni diverse sono parte indissolubile del nostro dna politico, ma forse questi difficili e lunghi decenni nel deserto hanno generato quel “grande equivoco” su cui è utile fare qualche breve riflessione. La sensazione è che per qualche compagno, semplificando al massimo il concetto, qualsiasi cosa proposta da o con altre forze di sinistra sia in fondo antisocialista; certo il golpe giudiziario e l’uso politico della magistratura da parte degli eredi del Pci ha prodotto un vulnus profondo e doloroso ma dopo più di trent’anni crediamo che certe ferite vadano sanate nel rispetto, ovviamente, della nostra storia, della verità e della nostra dignità. Ma entriamo più nel dettaglio; cosa ci sarebbe di poco socialista nello schierarsi apertamente per il “Si” a dei referendum che favoriscano un dibattito profondo sulla necessità di orientare le leggi sul lavoro verso una maggiore sicurezza, una minore flessibilità in uscita, a favore di più tutele contro licenziamenti facili o arbitrari, per contratti più stabili e dignitosi e per estendere diritti come la riduzione degli anni necessari per la cittadinanza? O nello schierarsi senza se e senza ma a favore della pace, ovunque nel mondo, senza chiudere gli occhi contro i crimini orrendi che sta perpetrando il governo di una nazione storicamente amica come Israele? Ecco il grande equivoco di questi lunghi anni, quello di voler far passare per socialista qualsiasi posizione moderata, neocentrista e finanche liberista, quasi che il nostro riformismo, quello delle nazionalizzazioni dell’energia elettrica, dello statuto dei lavoratori, delle leggi per la scuola e la sanità pubblica, si sia trasformato in una sorta di socialismo nominale ma sostanzialmente innocuo e totalmente privo di connotazione politica e programmatica. Una storia che, al contrario, ha senso continuare a traghettare testardamente verso il ventiduesimo secolo se continua a sventolare con passione ed orgoglio le bandiere della giustizia sociale, della pace, dei diritti, della democrazia e delle libertà, degli interessi e dei bisogni del mondo del lavoro. Se è in grado, insomma, di sognare ed immaginare concretamente una società più giusta ed umana, in grado di portare avanti chi è rimasto indietro, di garantire uguali opportunità di vita ed autodeterminazione al ricco come al povero, di offrire servizi essenziali gratuiti, universali e dagli elevati standard di qualità, di dare prospettive di vita alle nuove generazioni, di introdurre realmente degli elementi di socialismo negli ingranaggi di un capitalismo tecnocratico e finanziario che mostra, quotidianamente, il suo volto brutale e tutte le sue ingiustizie. Perché se l’aspirazione massima della nostra comunità politica si riduce all’agenda Draghi o alle norme di Renzi sul lavoro, su cui si può ragionare nel merito ma che non possono rappresentare il nuovo “vangelo socialista”, forse questi decenni di faticosa traversata sono stati vani. Accettiamo volentieri critiche, distinguo e contributi differenti ma, allo stesso tempo, chiediamo rispetto per le nostre posizioni e per chi, con orgoglio ed ostinazione, continua a lavorare ogni giorno per la rinascita di un grande ed autonomo partito socialista perché come ammoniva Giuseppe Saragat: “Qualsiasi cosa accada, il popolo italiano ha il diritto inalienabile ad avere un vero partito socialista. Senza un partito socialista, non vi può essere autonomia nei confronti degli imperialismi stranieri, non vi può essere democrazia all’interno del Paese, non vi può essere giustizia sociale. Pane, pace, libertà”.