Prodi: I riformisti devono ascoltare le persone Servono visione lunga e un ‘idea di Paese

Intervista di Giada Fazzalari

Il contributo di Romano Prodi si aggiunge, con l’intervista di oggi, alle autorevoli voci che, dalle pagine dell’Avanti! della domeni- ca, hanno alimentato il confronto di idee di cui il Paese ha bisogno per uscire dalla man- canza di visione che lo avvolge. Sollecitando e accogliendo i contributi di intellettuali e uomini e donne di pensiero, il nostro giornale è diventato tribuna e ascolto, innescando una discussione che permetta di superare l’asfissia di progettualità che tiene l’Italia in Europa, e l’Europa nel mondo, in una posizione marginale rispetto ad un tempo abitato dalla globalizzazione. Romano Prodi indica con lucida previdenza gli strumenti per riattivare il motore del progresso: l’unità politica europea, da perseguire sulla spinta di un impegno comune dei principali Paesi e, in Italia, l’abbandono della strumentalizzazione delle angosce dei cittadini, quella che sfocia nel populismo straccione, per costruire un ideale di società del domani a cui ancorare un progetto politico di lungo respiro. Suggestioni implicano uno sviluppo della coscienza politica dei cittadini, attraverso il loro coinvolgimento e la loro consapevolezza dei fatti spesso soffocati da una politica votata solo al mercato elettorale come mezzo di conquista della gestione dell’ordinario. Un lavoro che merita costanza, attenzione e cura. Valori cui la sinistra riformista deve ambire. La sinistra del merito, dell’inclusione, che considera l’etica della responsabilità il pilastro dell’azione politica, della libertà. La bussola che ci ispira, che muove le nostre coscienze, che anima il ticchettio delle nostre tastiere e che ci porta in edicola ogni settimana.

L’intervista a Romano Prodi:

“Ascoltare il popolo è democrazia. Strumentalizzarne le preoccupazioni e le ansie, esasperando i problemi ai fini elettorali, invece è populismo. Bisogna ritornare alla fatica della discussione, aperta e vera, per poi arrivare a realizzare le riforme. Questa, se vogliamo, è la sola possibile eredità dell’Ulivo”. Romano Prodi, 84 anni compiuti lo scorso 9 agosto, è stato Presidente della Commissione Europea dal 1999 al 2004 e Presidente del Consiglio dei Ministri per due volte, dal 1996 al 1998 e dal 2006 al 2008. Figura di altissimo profilo internazionale, istituzionale e politico del centro sinistra italiano, ideatore dell’Ulivo, un progetto politico di sinistra in cui sì è fatta strada l’idea di una coalizione di partiti uniti ma mai snaturati nella loro soggettività politica. E’ stato professore di Economia Politica ed industriale all’Università di Bologna e per molti anni Presidente dell’Istituto per la Ricostruzione Industriale. In questa intervista rilasciata all’Avanti! della domenica, Prodi indica una via per il rilancio delle forze riformiste nel nostro Paese, sprona a completare l’allargamento dell’Unione Europea, analizza il fenomeno migratorio. E con chiarezza delinea le tappe per la costruzione di un programma condiviso con i cittadini, per rafforzare democrazia e partecipazione.

Presidente, lei lasciò la guida della Commissione dopo lo storico allargamento dell’Unione ad Est: oggi si può dire che fu un grande investimento democratico, uno scudo verso pericolosi ritorni all’indietro? 

<<In passato sono stato rimproverato per aver realizzato l’allargamento dell’Europa ad Est, come se questa fosse stata la causa del rallentamento nel processo di unificazione. Credo sia evidente a tutti l’entità del rischio che correremmo oggi, con la guerra in Ucraina, se la Polonia, l’Ungheria o la Romania non fossero parte dell’Unione Europea. L’allargamento è stato l’unico esempio al mondo di esportazione della democrazia senza armi, ha richiesto due anni di trattative e di colloqui e ha dato, ai paesi che sono entrati a far parte dell’Unione Europea, la possibilità di crescere e progredire. È vero che le tendenze sovraniste e nazionaliste di quei governi sono spesso causa di tensione in Europa, ma le popolazioni di quei paesi, interpellate quando si arriva al sì o al no, si pronunciano nella quasi totalità a favore della loro appartenenza all’Europa. Per non correre il rischio di pericolosi ritorni all’indietro, l’Europa dovrebbe marciare velocemente alla realizzazione della sua unità politica perché quella monetaria ed economica non basta. Unità in politica estera e di difesa. E poiché non è realistico pensare di poter procedere all’unanimità, si deve ricorrere ad una cooperazione rafforzata di alcuni paesi, Francia, Germania, Italia e Spagna. Su iniziativa della Francia perché è la sola ad avere diritto di veto nel Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite ed è la sola ad avere l’arma nucleare e quindi la sola che può metterli a disposizione dell’Europa. Di lì a poco, come fu con l’Euro, sono convinto che al primo gruppo di paesi se ne aggiungerebbero subito altri. Ma la Francia sembra più interessata a mantenere vivo il suo passato imperiale, piuttosto che a costruire il suo futuro in Europa e con l’Europa. E la Germania ha provveduto ad un rialzo di oltre il 2% del suo PIL destinato agli armamenti. Io però penso oggi ciò che pensavo al momento dell’allargamento: i treni della Storia passano una sola volta. E bisognerebbe non perderli se non si vuole uscire dalla Storia>>.

Tra nove mesi si svolgeranno le elezioni Europee: da quando lei è stato Presidente della Commissione, come e quanto è cambiata l’Unione Europea?

<<Certamente il cambiamento più evidente è stato il passaggio del potere dalla Commissione al Consiglio . Un passaggio che ha enfatizzato e dato voce ai singoli paesi i quali tendono a far prevalere gli interessi nazionali a scapito di quelli dell’Unione. E’ così che si è alimentato il sovranismo e il nazionalismo che per molti anni ha costretto l’Europa ad una vera stasi politica. Ma durante la pandemia, il ritrovato spirito comunitario, ha prodotto il NextGenerationEU dimostrando quanto può fare l’Europa se è unita. Dinnanzi alla guerra, invece, l’Europa ha manifestato certamente unità nel condannare l’invasione russa e nel sostenere l’Ucraina, ribadendo giustamente la nostra fedeltà al Patto Atlantico, tuttavia, non avendo una politica estera e di difesa comuni, l’Europa non è stata in grado di svolgere quel fondamentale ruolo di equilibrio che sarebbe assolutamente indispensabile che svolgesse. Per questo ho detto spesso che questa guerra finirà solo quando le due super potenze, Cina e Stati Uniti, si metteranno d’accordo. Una costante invece è il disinteresse dell’Europa nei confronti del Mediterraneo: come allora manca una vera politica europea mediterranea. È bizzarro che, malgrado la Sardegna sia più vicina all’Africa che all’Italia continentale, vi sia in Libia un controllo turco e russo. Ed è pensando soprattutto alle nuove generazioni che già, quando portai a termine l’allargamento a Est, proposi la creazione di Università miste e paritarie fra i paesi europei che si affacciano nel Mediterraneo e i paesi della sponda sud. Università miste non significa portare in Tunisia o in Libia le filiali di nostre Università, ma creare strutture accademiche con un’unica sede divisa fra Sud e Nord, con un uguale numero di professori del Sud e del Nord, un uguale numero di studenti del Sud e del Nord e con l’obbligo, per gli studenti, di frequentare lo stesso numero di anni a Sud e a Nord. La proposta implicava la fondazione di un ateneo con sede in una città del Nord, ad esempio Bari o Palermo e una del Sud come Tunisi, mentre la Spagna avrebbe fatto altrettanto con le Università del Marocco e la Francia con l’Algeria. Questo è ancora oggi l’impegno che continuo a portare avanti perché sono convinto che quando avremo messo insieme, nelle stesse aule e sugli stessi banchi, decine e decine di migliaia di studenti, avremo posto le basi per un futuro migliore per tutti>>.

L’allargamento è uno degli obiettivi strategici dell’Unione Europea; ci sono paesi, come la Turchia, in attesa da anni e altri come l’Ucraina e la Georgia, di cui si parla ripetutamente ma da molto meno tempo. Può essere utile uno strumento come la procedura, peraltro lunga anni, di ingresso dei Paesi nell’Unione per rispondere ad un’esigenza politica? Non si rischia di snaturare il senso stesso della Comunità che i padri fondatori avevano in mente?

<<Se fossi rimasto per altri cinque anni a Bruxelles avrei fatto di tutto per completare l’allargamento a tutti i Paesi dell’ex Jugoslavia, Albania compresa. Mi sarei fermato a questi perché questi sono parte dell’Europa, non si tratta di mera esigenza politica. Credo che sia necessario definire i confini dell’Europa completando l’allargamento. A meno che non vogliamo correre il rischio che un paese come la Serbia, ad esempio, entri nell’orbita russa. Le procedure sono importanti perché, come ho ricordato sopra, garantiscono in modo chiaro e condiviso i processi di avvicinamento e poi di integrazione>>.

La Presidente Von der Leyen, nel discorso sullo Stato dell’Unione, ha denunciato la piaga della tratta degli essere umani, ma non si è sbilanciata sulla necessità di politiche migratorie innovative. Nemmeno il nostro Governo, pur rinunciando a porti chiusi e blocchi navali, sembra capace di affrontare il fenomeno per quello che è, cioè una migrazione di massa…

<<Continuando a presentare l’immigrazione come un problema transitorio si nasconde semplicemente la realtà. Una realtà che nessuno oggi può ignorare. La migrazione è frutto della guerra, della fame, delle catastrofi ambientali. I migranti cercano condizioni di vita migliori. L’Unione Europea non si è ancora resa disponibile ad elaborare una politica per il Mediterraneo efficace: i paesi del nord si sono sempre opposti a investire risorse per lo sviluppo dei paesi della sponda Sud del mediterraneo. E se l’Europa non adotterà nuove linee di politica comune in materia di migrazioni, per esempio con l’abolizione del Trattato di Dublino, il problema resterà sempre a carico dei paesi come l’Italia, la Grecia, la Spagna. Il problema migratorio non si affronta con il pugno duro, con un’esibizione di forza dei singoli paesi. Serve una grande conferenza internazionale in cui affrontare il tema in tutti i suoi aspetti, compreso il fatto che i migranti servono in un’Europa con un grave deficit demografico. Nessun paese da solo potrà affrontare ragionevolmente questo problema>>.

Nel panorama politico italiano vede il centrosinistra alle prese con tensioni per ora sotto pelle ma pronte a riesplodere attraverso personalismi, contestazioni esasperate, una “visione corta”. Non si rischia così di non essere più credibili agli occhi di un elettorato riformista e di sinistra, che attende un riscatto rispetto ad una destra nazionalista?

<<Va ripensato il rapporto con il paese, bisogna tornare a parlare con tutti e ripensare agli errori fatti. E di errori ne sono stati fatti parecchi inseguendo gli obiettivi di breve periodo! Come la legge elettorale, la riforma della Rai, il finanziamento pubblico ai partiti e alcune riforme istituzionali. Sono stati cedimenti alla situazione contingente. I riformisti devono tornare a riflettere sull’idea di Paese che si intende costruire e non solo alle alleanze temporanee dettate spesso da precari equilibrismi di potere. Solo così, tornando all’ascolto e al dialogo con le persone, si può tornare ad essere credibili>>.

Presidente, ogni tanto riaffiora, magari retoricamente, lo spirito dell’Ulivo: cosa è stato veramente e perché oggi sarebbe utile per ritrovare la strada della riscossa?

<<L’Ulivo non è replicabile oggi perché tutto il mondo è cambiato. Il metodo dell’Ulivo invece può ancora essere vincente: dico spesso che sarebbe buona cosa prendere quindici parole che ricorrono spesso nelle famiglie italiane e che nascondono ansie, preoccupazioni, ma anche aspettative circa le risposte della politica: droga, disoccupazione, pace, salari, lavoro, inflazione, sanità pubblica, scuola, fragilità…. Per ognuna di queste bisognerebbe aprire una discussione in rete, a distanza, guidata da persone sagge, esperte e non per forza di partito. Ogni settimana una parola e il sabato il segretario va in una città simbolica, se si tratta di welfare sarà Padova, se di finanza sarà Milano e, in presenza, apre la discussione e arriva alle proposte, alla sintesi politica. Con quindici settimane di lavori si può arrivare a comporre lo schema di un programma condiviso. Ascoltare il popolo è democrazia. Strumentalizzarne le preoccupazioni e le ansie, esasperando i problemi ai fini elettorali, invece è populismo. Bisogna ritornare alla fatica della discussione, aperta e vera, per poi arrivare a realizzare le riforme. Questa, se vogliamo, è la sola possibile eredità dell’Ulivo>>.

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