di Francesco Di Lorenzi
Le recenti sconfitte nelle elezioni regionali di Marche e Calabria e la successiva affermazione del centrosinistra in Toscana hanno dato giustamente il via a delle riflessioni non più rinviabili ed è sicuramente un bene che il sasso lo abbia lanciato per primo chi, come noi socialisti, ha le spalle larghe ed il giusto disincanto per analizzare lucidamente la situazione e proporre possibili percorsi e soluzioni. Forse perché abbiamo centotrentatre anni di storia, perché non siamo figli di una breve stagione politica o dell’infatuazione momentanea per questo o quel leader politico, perché non abbiamo padroni, perché qualunque sia il destino del campo largo continueremo ostinatamente ad esserci, perché fino a quando ci sarà da lottare, in qualsiasi parte del mondo, per la libertà e la giustizia sociale ci saranno quei guastafeste dei socialisti, perché la nostra lunga marcia per restituire all’Italia un grande, forte ed autonomo partito socialista non dipenderà di certo dalle alleanze elettorali odierne e future del fronte progressista. Il tema è quale strada vuole intraprendere il centrosinistra se vuole vincere nel 2027 e se, soprattutto, se si intende davvero costruire un’alternativa credibile ed autorevole al governo delle destre. Bisogna essere chiari anche al costo di apparire eccessivamente tranchant; con un’agenda politica basata sul protagonismo a volte delirante di Francesca Albanese, con i silenzi verso chi festeggia il 7 di ottobre come la festa della resistenza palestinese, con la difesa oltranzista di una minoranza politicizzata della magistratura, contraria non solo alla giusta separazione delle carriere, ma a qualsiasi riforma che intacchi un potere corporativo e dai tratti reazionari, con le battaglie sui concerti di Beatrice Venezi e tutto l’armamentario sul nuovo pericolo fascista, con l’opposizione alle grandi opere se c’è di mezzo Salvini, con l’estremismo green o le follie economiche sul modello del bonus 110%, si sceglie, consapevolmente, di consegnare il Paese alle destre almeno per un altro decennio. Se, al contrario, si vuole costruire seriamente un’alternativa radicalmente riformista, basata sia sui problemi concreti di cittadini e famiglie che su una visione strategica e di lungo periodo del Paese, lo spazio politico da contendere a Meloni e soci esiste eccome. Piano casa, investimenti mirati su scuola e sanità pubblica, riforma complessiva della giustizia e del sistema carcerario, risposte concrete all’insicurezza diffusa in troppe aree delle nostre città, un piano industriale degno di questo nome che affronti finalmente le troppe crisi aziendali di interi settori rimaste senza risposta, la promozione di nuove ed antiche forme di protagonismo e responsabilità dei lavoratori come la partecipazione agli utili d’impresa, l’autogestione ed il sistema cooperativo, una seria politica di sostegno alla natalità fatta di meno slogan urlati e di più asili nido, il risanamento idrogeologico dei territori a rischio, un piano strategico per ripensare completamente le nostre periferie, il rilancio di forme di democrazia diretta che favoriscano la partecipazione democratica, il recupero della centralità del parlamento, una legge elettorale proporzionale pura e con le preferenze che aiuti a combattere l’astensionismo di massa garantendo voce e rappresentanza alle tante anime politiche e culturali di cui è ancora ricco il nostro Paese, ma anche le grandi sfide di medio lungo periodo, come un piano per la piena occupazione ed obbiettivi ambiziosi di crescita che consentano finalmente, dopo questo trentennio scellerato, una seria politica di aumenti salariali e di redistribuzione della ricchezza verso chi continua a mandare avanti il sistema Italia tra crisi cicliche ed immensi sacrifici. Ed ancora una rinnovata forma di sovranità ed indipendenza nazionale che restituisca al Paese, come abbiamo ricordato in queste pagine con l’intervista all’ambasciatore Badini e come ha giustamente sottolineato il segretario Maraio ricordando con orgoglio i quarant’anni dai fatti di Sigonella, dignità e rispetto internazionale, quello vero, basato sull’autorevolezza di una classe politica con la schiena dritta e non sulle quotidiane genuflessioni al padrone di turno. Se questa è la strada che si intende percorrere, i socialisti italiani ci sono, con tutto il carico di passione, di serietà e di spirito di servizio in nome dell’interesse generale. L’esperimento della casa riformista in Toscana e delle liste “Avanti” in Campania, Puglia e Veneto va in questa direzione.



