Musk vaccino contro il trumpismo? Di male in peggio

di Lorenzo Cinquepalmi

Cento anni fa, negli anni ‘20 del secolo scorso, i comunisti vedevano nel fascismo una forza che, pur reazionaria, avrebbe contribuito alla distruzione del sistema capitalistico, aprendo involontariamente la strada alla rivoluzione proletaria, innescando il crollo della borghesia per effetto delle sue stesse contraddizioni, condizione che avrebbe permesso al proletariato di prendere il potere. La storia ci ha dimostrato quanto sbagliata fosse quella lettura: il fascismo sposò la borghesia e il capitale, ed essi sposarono il fascismo, matrimonio che resse solidamente per un ventennio col plauso del proletariato, passato in massa dal fazzoletto rosso alla camicia nera. Il fascino intellettuale dell’eterogenesi dei fini, comoda scorciatoia verso risultati non guadagnati, pare suonare la musica della sirena anche per qualche commentatore della tragicomica vicenda del rapporto tra Trump e Musk, inducendo a scrivere che la nascita, nel sistema rigidamente bipartitico statunitense, di una terza forza di ultradestra, personalistica e tecnocratica, dai mezzi economici pressoché illimitati, potrebbe essere il vaccino involontario contro il trumpismo. Senza spingerci a scrivere che padelle e braci americane sono problemi degli americani, perché è chiaro ed evidente quanto potenzialmente queste dinamiche possano coinvolgere tutto l’occidente e con esso anche noi, lo spunto più gustoso che il duello dei due ex amici Trump e Musk ci regala oggi è proprio quello dell’interpretazione che di esso ci è offerta da chi ha avuto, e non ha mai rinnegato, una formazione marxista-leninista. Da quel pulpito viene, come cent’anni fa, la contemplazione soddisfatta della prospettiva che un nemico politico, altro che avversario, possa propiziare un risultato favorevole alla parte prediletta indebolendo un altro avversario politico a lui affine. Anziché constatare la minorità attuale del partito progressista e auspicarne la ripresa sull’onda di nuove idee e nuove proposte, ci si augura che nemici tra loro oggettivamente affini si facciano fuori a vicenda. Certo, crescere politicamente è faticoso e, spesso, doloroso, mentre irresistibile cresce la tentazione di restare inerti in attesa che il fato, sotto forma di una destra ancora più destra che aggredisca quella al potere, ti tolga le castagne dal fuoco. Peccato che l’esperienza della storia insegni che non accadrà: le destre, misurate reciprocamente le loro forze, si salderanno e, con la guida di quella più efficace, schiacceranno il partito di progresso nell’angolo dei neghittosi, spettante di diritto a chi spera sempre che il lavoro sporco glielo faccia qualcun altro. A vincere nel braccio di ferro tra Musk e Trump sarà sempre uno dei due, e non mai un leader democratico, che la vittoria se la dovrà guadagnare con una credibile proposta alternativa. Se poi qualcuno dovesse cercare una similitudine con la politica nostrana, si troverebbe a cogliere più di qualche gustoso spunto. Infatti, si parva licet componere magnis, anche nel nostro sempre più periferico Paese le forze di progresso dedicano più tempo ed energia a tifare per le apparenti divisioni tra le destre, che a costruire la loro alternativa. Sarà colpa, anche per le loro leadership, della radice marxista-leninista? Onestamente pare difficile, anche per ragioni anagrafiche. La realtà è che lavorare stanca, e di leader capaci di mettere in campo risorse intellettuali e fisiche potenti, a sinistra, se ne vedono pochi. Per la verità, neanche a destra, ma il prodotto politico che vende la destra, oggi più che mai, non richiede un gran lavoro, ma del gran cinema, e la lettura, assai poco impegnativa, del vademecum in undici punti di mastro Goebbels: dispensare paure, additare nemici, e prosperare, anche grazie alla vacuità della sinistra. Tempi grami.

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