di Alessandro Silvestri
Il 2025 sarà ricordato come un anno dal triste record per quanto riguarda la piaga nazionale delle morti sul lavoro, o nel tragitto per recarvisi. La media si attesta ormai su quattro caduti al giorno in questa sorta di guerra civile, che di civile ha ben poco. Una agghiacciante teoria di lenzuoli bianchi, non sufficienti a coprire una vergogna collettiva, indegna di un Paese civile e moderno. Secondo i dati Istat 2024 saremmo dentro la media europea, e ci dovremmo quindi in qualche modo consolare, ma non secondo l’Osservatorio nazionale morti sul lavoro (un sito indipendente gestito da Carlo Soricelli, un pensionato di Bologna), dove il numero registrato quotidianamente è stato superiore di circa il 30% (1486 quelli censiti da Soricelli, che tiene sulla sua pagina Facebook un bollettino aggiornato ogni giorno). Questo perché una parte consistente dei decessi sono di lavoratori registrati presso altri enti, o al nero, una ulteriore piaga nella piaga. Tra i quali non solo stranieri ed extracomunitari, ma anche tanti italiani. Spesso lavoratori ultrasessantenni, che rappresentano ormai circa un terzo delle “morti bianche”. E su questo punto è evidente che le misure fin qui intraprese a livello istituzionale, non sono sufficienti a garantire una maggior sicurezza anche per la fascia di lavoratori prossimi alla pensione. O che già avrebbero dovuto esserci, ma che per necessità continuano a lavorare. Persone, per molti comprensibili motivi, più esposte a rischi ambientali e psicofisici. Come Sergio Casarano, meccanico di Taurisano, nel Salento, che il 19 agosto a 65 anni è morto schiacciato mentre stava cambiando la ruota di un Tir. Come Renato Chilese di 67 anni, morto Il 16 agosto a Torreselle nel vicentino, per il ribaltamento della piattaforma mobile sulla quale stava eseguendo delle potature. Come Paolo Fortini, operaio di 64 anni, morto il giorno di Ferragosto a Roma, per una caduta da un cornicione in zona Eur, mentre stava ripulendo le grondaie di un condominio. Al 31 luglio 2025 siamo arrivati a quota 873 vittime: è o non è un livello di guardia tale che dovrebbe allarmare Parlamento, Governo e ministeri di competenza? Parrebbe purtroppo l’esatto contrario, vista anche l’introduzione del decreto legislativo 36/2023 che ha liberalizzato i subappalti “a cascata” ovvero lo sfruttamento massimo possibile dei lavoratori, in settori dove i controlli sono atavicamente insufficienti a dare garanzie minime proprio sul tema della sicurezza dei luoghi di lavoro. Non ci piace solitamente utilizzare termini allarmistici da rotocalco, ma se non è una vergogna nazionale questa, allora quale lo è? Dal punto di vista della questione di genere, i dati ci dicono che le donne vittime di incidenti sul lavoro, sono molte di meno rispetto agli uomini, e questo per ovvie ragioni di differenze di mansioni. Se invece andiamo a vedere gli incidenti mortali nel tragitto casa/lavoro, notiamo però che i numeri si ribaltano. La spiegazione è quantomai banale, nella sua tragicità: il carico di lavoro femminile è gravato dalle incombenze familiari, tra figli, faccende domestiche e assistenza a malati o anziani, per questo motivo è proprio nella stanchezza accumulata, e nelle ore di sonno perse, da ricercare la causa primaria di queste morti. Un fenomeno che avrebbe dovuto trovare risposte adeguate già da molto tempo, a partire da una riduzione delle ore di lavoro a parità di stipendio, con una integrazione salariale erogata attraverso la costituzione di un apposito fondo pubblico e privato. Molte promesse da parte di tutti i governi succedutisi negli ultimi trent’anni, ma fatti zero. Se si muore di lavoro, in molti casi, sempre più numerosi, si campa male anche da vivi, in un Paese che dall’introduzione dell’Euro non ha potuto più ricorrere alla svalutazione monetaria per competere a livello internazionale; con la complicità e il silenzio anche della stampa, si è buttato tutto il peso addosso ai lavoratori, svalutando di fatto i salari, come in nessun altro Paese europeo. Un prezzo che non può più essere pagato a fronte di un costo della vita che aumenta di mese in mese. E anche la battaglia di retroguardia sul salario minimo, rischia di essere un pannicello caldo, per un problema assai più macroscopicamente grave. Anche senza i dazi di Trump, le classi lavoratrici italiane, stanno pagando da troppo tempo un ingiusto e iniquo dazio interno, non soltanto dal punto di vista salariale. Quelle migliaia di lenzuoli bianchi, pesano come un macigno sulla coscienza pubblica e privata dell’Italia.