di Giada Fazzalari
Monsignor Dario Edoardo Viganò, già direttore del Centro Televisivo Vaticano, dal 2015 al 2018 ha ricoperto l’incarico di Prefetto del Dicastero per la Comunicazione della Santa Sede. Classe 1962, docente universitario, Monsignor Viganò è stato tra le persone più vicine a Papa Francesco. Parlando con l’Avanti! coglie, con lucidità e sensibilità, il senso profondo dell’eredità spirituale del Pontefice, ricordando momenti significativi del Pontificato, alcuni destinati a rimanere nella Storia.
«Ricordo il primo incontro con Papa Francesco all’indomani dell’elezione. Ero stato chiamato da Papa Benedetto come Direttore del Centro Televisivo Vaticano e mi sono occupato anche delle immagini che sono state date a tutto il mondo dell’inizio del conclave, della fumata bianca e della prima apparizione di Papa Francesco nella loggia di San Pietro. Lì ricordo che, in maniera fortuita, decisi di mettere una camera alle spalle di Papa Francesco sulla Loggia, creando una sorta di dialogo tra lo sguardo del Papa verso la gente in piazza e le altre telecamere che guardavano verso il Pontefice» racconta all’Avanti! Monsignor Viganò. «Sguardi che si incontravano, come i punti di un dialogo. Un momento profetico, perché Francesco è stato il Papa del dialogo». Monsignor Viganò riflette su una delle “vere” eredità spirituali attribuite a Bergoglio, ricordando proprio le sue parole, quando disse: “Quanto desidero una Chiesa povera per i poveri!”. «Francesco faceva riferimento ad una Chiesa sobria nello stile, senza orpelli, ma anche ad una Chiesa che deve imparare ad ascoltare. Ed è proprio l’umiltà del porsi in ascolto delle situazioni del mondo che ha fatto emergere i grandi temi che hanno contrassegnato il suo magistero, come la salvaguardia del creato e la fratellanza universale. Così come i temi che toccano elementi fondamentali della morale tradizionale, tra cui l’apertura ai gay e alle coppie di divorziati. E tutto questo è stato possibile per Papa Francesco perché si è messo in ascolto, tenendo insieme da una parte il radicamento nell’insegnamento di Cristo nella grande tradizione della Chiesa Cattolica e dall’altra parte il tentativo di comprendere con discernimento personale, situazione per situazione, come queste persone possano incontrare il Signore. È un’immagine, questa dell’ascolto, che fa in qualche modo il paio con quella che lui ha usato più volte: la Chiesa come ospedale da campo» aggiunge Viganò. «Una Chiesa che a fronte delle ferite dell’umanità non chiede la carta di identità ma cura le ferite, si occupa delle persone, delle povertà e delle fragilità». Monsignor Viganò, nel suo raccontarci il Papa, rievoca anche un capitolo importante del magistero del Pontefice: i viaggi apostolici che Francesco ha condotto in tutto il mondo, per testimoniare una Chiesa che incontra gli ultimi in ogni angolo della Terra. «Il magistero di Papa Francesco è stato certamente un magistero di parola, ma anche un magistero di gesti, di atteggiamenti. Penso ad esempio quando a Betlemme, ad un tratto, senza che nessuno fosse avvertito, senza che la sicurezza lo sapesse, decise di far fermare la Papa Mobile. Scese dalla vettura e si recò silenzioso in preghiera, toccando il muro eretto a separazione con Israele. Un gesto che è diventato non solo un’immagine iconica, ma il simbolo di un grande magistero che porta in sé un messaggio: che bisogna che la carne dell’uomo credente tocchi, incontri le ferite e anche gli ostacoli alla Comunione. Perché non si può solo ragionare, bisogna anche farsi carico concretamente delle ferite. Questo è stato un grande insegnamento di Papa Francesco». Nel ricordo di Monsignor Viganò, già Prefetto per la Comunicazione di Bergoglio, anche un’altra immagine che rimarrà nella Storia: era il 27 marzo del 2020 quando, solo in una piazza San Pietro deserta, il Papa pregava per le vittime del Covid. E infine gli ultimi giorni della sua vita terrena: «Abbiamo sperato molto quando l’abbiamo visto ritornare in Vaticano dopo la sua lunga degenza in ospedale, quando abbiamo visto addirittura Papa Francesco con un poncho andare ad osservare di persona gli ultimi lavori in Basilica San Pietro. E poi, certo, ha un valore straordinario l’immagine di Papa Francesco il giorno di Pasqua in Papa Mobile. Eravamo convinti che avesse superato la criticità e invece abbiamo dovuto dare al mondo la notizia del ritorno alla casa del Padre». Conclude Monsignor Viganò: «Papa Francesco fino all’ultimo si è consegnato al suo popolo, perché ha voluto consumarsi nell’amore in mezzo al suo popolo. E ha restituito la sua vita al Padre proprio nel mistero della Pasqua. Credo che per ogni credente questa sia una grande consolazione, uniti nella morte di Cristo per risorgere con lui». Infine una riflessione sulla malattia: «Per
governare la Chiesa non ci vuole prestanza fisica, ma un radicamento nel Signore Gesù, nell’insegnamento della Chiesa. Perché anche attraverso l’esposizione pubblica di un corpo malato e fragile, passa la testimonianza di un credente».