Meloni vuole una legge di bilancio per tirare a campare. Ma si dimentica dei poveri e del ceto medio

di Stefano Amoroso

Mancano ancora alcune settimane alla presentazione della Legge di Bilancio, uno dei principali appuntamenti politici per qualsiasi Governo, ma il quadro che si delinea è già chiaro: non sarà una finanziaria coraggiosa o che affronta alla radice i veri problemi del Paese. Il piano casa per le giovani coppie ne è un esempio: annunciato in pompa magna dalla Meloni al Meeting di Rimini, prevede lo stanziamento di circa 660 milioni di euro, che è una cifra irrisoria rispetto al fabbisogno, per favorire l’acquisto della prima casa dei giovani a prezzi calmierati. Il piano casa della Meloni, che si collega agli interventi inseriti nella Legge di Bilancio dello scorso anno, vuole adattare le Linee guida per l’edilizia pubblica all’edilizia sociale. In questo modo, con un intervento irrisorio (560 milioni già stanziati, a cui si aggiungerebbero i 660 previsti adesso), si potrebbero avere nuovi alloggi da destinare alle giovani coppie. Il problema di questo piano è che partirà non prima del 2027 mentre l’emergenza è ora: con l’aumento del costo degli immobili e la crescita dell’inflazione, il costo per l’acquisto di un appartamento di cento metri quadrati è diventato talmente alto per cui, in tutta Italia, ci vogliono decenni di mutuo, con punte di centoquarant’anni nelle aree centrali di Milano. Durata del tutto aleatoria, chiaramente, perché non esistono mutui a così lunga scadenza. Ben diverso, invece, il piano casa del Partito Socialista, che prevede il recupero di milioni di appartamenti non utilizzati ed inagibili, per renderli disponibili da subito con prestiti a tasso zero di lungo periodo. Seguendo quest’idea, ad esempio, già oggi la Provincia Autonoma di Trento, guidata peraltro da una maggioranza di centro destra, prevede di recuperare decine di migliaia di abitazioni in vari Comuni a rischio di spopolamento, coniugando così diverse esigenze: aiutare le giovani coppie, evitare la morte di intere comunità, recuperare un patrimonio edilizio inutilizzato ed in disuso, che altrimenti sarebbe solo un peso, e stimolare i consumi e la natalità. La Meloni dunque, ancora una volta, affronta sì un problema serio e sentito, ma con misure inefficaci che peraltro saranno attive solo a legislatura finita. Lo stesso avviene anche con i tagli fiscali ed il “fisco equo”: sono previsti 4,9 miliardi di tagli alle imposte, quando nello stesso tempo, riducendo la possibilità di portare le spese in detrazione, il Governo punta a recuperare più del doppio della somma. Lo stesso accade con le pensioni: limitati aumenti delle minime, a fronte dei severi tagli previsti sulle pensioni future. Sul fronte dei costi dell’energia, che è un altro tema scottante ed è stato uno dei cavalli di battaglia dell’attuale maggioranza nella scorsa campagna elettorale, è previsto finalmente un intervento concreto: la riduzione del gap tra il prezzo del gas all’ingrosso (Pvs) e quello stabilito dalla Borsa di Amsterdam in Olanda (Ttf). Attualmente, infatti, le imprese italiane pagano mediamente due euro in più per ogni megawattora di energia derivante dal gas, e questa differenza incide pesantemente sulla competitività, se si considera che quasi tutti i nostri principali concorrenti pagano l’energia a prezzi inferiori. Anche in questo caso, tuttavia, pare difficile che ci siano significativi cambiamenti, ed anzi probabilmente la misura non sarà inserita in Finanziaria e sarà resa attiva solo in futuro: altro caso di soluzione di un problema attuale…a babbo morto. In epoca di crisi, guerre e dazi, difficile che non vengano previste misure a difesa del lavoro, dell’impresa e dell’economia: la propaganda governativa cercherà di vendercele come grandi risultati, ma si tratta del minimo sindacale. Queste misure dovrebbero assorbire circa 20,8 miliardi, vale a dire il 61% del totale. Aggiunte alle misure sul “fisco equo” (quei 4,9 miliardi di cui abbiamo scritto pocanzi, pari al 14,4% del totale), fa oltre il 75% dell’intera Finanziaria. Il rimanente, cioè le briciole, sarà destinato a tutto il resto: infrastrutture, sostegno familiare (incluso il piano casa), stato sociale, sanità, ricerca, ambiente e cultura. Quella che s’intravede, dunque, è la solita Finanziaria di questo Governo: poco ambiziosa, per nulla innovativa, attenta solo a non creare deficit e basata sulla convinzione che sia il Pnrr a generare la crescita del Paese. Peccato che, salvo proroghe che al momento non sono previste, il piano speciale di ripresa post pandemico, voluto dal centrosinistra e stanziato dalla tanto odiata (da parte soprattutto di Salvini) Ue, terminerà a giugno 2026. Cosa accadrà dopo, visto che all’orizzonte internazionale non sono previste schiarite, non è dato sapere. L’impressione, e questo è allarmante, è che non lo sappia neanche chi ci governa.

Ti potrebbero interessare