di Andrea Follini
Non sono taciute le armi. Né in Ucraina, né in Palestina. L’accorato messaggio lanciato da Francesco anche qualche giorno prima della sua morte, quel suo aver dedicato le sofferenze degli ultimi anni di vita per la pace nel mondo, non ha trovato interlocutori compassionevoli. Ma c’è anche di più. Il governo Netanyahu non ha nemmeno ritenuto di esprimere le condoglianze per la morte del pontefice; i ripetuti richiami del Papa, affinché cessassero le violenze e le distruzioni a Gaza e forse ancor di più il fatto che Francesco avesse chiesto di valutare se l’azione di Israele nei confronti dei palestinesi potesse essere rubricato a genocidio, evidentemente hanno tracciato un solco profondo. Un ripensamento, tardivo, c’è stato, a due giorni dalla scomparsa del Papa, si dice per una sollevazione del corpo diplomatico israeliano. Nei social ufficiali del primo ministro è comparso quindi il messaggio: “Lo Stato di Israele esprime le sue più sentite condoglianze alla Chiesa cattolica e alla comunità cattolica mondiale per la scomparsa di Papa Francesco. Possa riposare in pace.” Un rapporto, quello di Francesco con il governo di Tel Aviv, da sempre teso. Già nel 2014 quando il Papa si recò in Terra Santa, un baldanzoso Netanyahu gli ricordava come Gesù fosse un ebreo di quel territorio, che parlava ebraico. “Aramaico”, lo corresse Francesco. Piccoli segni, ma importanti. Ancora una volta, però, il pensiero del governo israeliano non coincide con quello di larga parte del popolo. Se ne è fatto carico il Presidente Isaac Herzog, che non ha esitato nel lanciare un messaggio di vicinanza alle comunità cristiane in Israele. Ed anche il deputato d’opposizione Gilad Kariv, partecipando ad una Messa in suffragio per Bergoglio a Gerusalemme: “Mi vergogno del fatto che il governo israeliano e la Knesset non abbiano pubblicato un messaggio ufficiale di condoglianze. Sono qui per esprimere le mie condoglianze a nome della stragrande maggioranza dei cittadini israeliani, sia ai fedeli cristiani che vivono in Israele, sia alle centinaia di milioni di cristiani cattolici in tutto il mondo”. L’altro fronte di tensione internazionale, il conflitto russo-ucraino, non ha anch’esso trovato pace. Anzi, nei giorni del transito di Francesco, gli attacchi russi verso obiettivi civili si sono inaspriti, scatenando persino la collera di Trump, spazientito dal suo stesso insuccesso; all’avvicinarsi del termine dei suoi primi cento giorni alla Casa Bianca, forse il presidente americano pensava di assolvere ad un compito semplice nell’ottenere la risoluzione del conflitto. Ma evidentemente aveva fatto male i conti col carattere del suo amico Putin. Di particolare intensità è stata la foto scattata tra le navate della Basilica di San Pietro, qualche minuto prima dell’inizio delle esequie del pontefice, una foto che ha fatto in un lampo il giro del mondo: Trump e Zelensky, seduti uno di fronte all’altro, senza vicepresidenti attaccabrighe, senza i vincoli del cerimoniale e soprattutto dimostrando una vicinanza ritrovata, dopo l’incontro nello studio ovale dal quale il premier ucraino era uscito bullizzato. Ciò che appare certo, è che quei quindici minuti di colloquio possono essere davvero il prologo di una svolta per “la martoriata Ucraina”, come la definiva il Papa nella sua incessante richiesta di preghiera. Ecco che allora quella foto, testimonianza dell’incontro più essenziale tra due capi di Stato, sullo stile della concretezza senza superfluo di Francesco, oltre che potente potrebbe diventare storica. Molto dipenderà dai continui cambiamenti di prospettiva del presidente americano, dall’analisi degli interessi economici per gli Stati Uniti nell’abbracciare una soluzione piuttosto che un’altra… nulla, insomma, a cui il tycoon non ci abbia già abituati. Ma il momento per il popolo ucraino e per il suo presidente è sicuramente delicato, ma anche importante e decisivo. Alla soglia di una tregua che potrebbe risparmiare molte vite da ambo le parti e determinare una pace giusta. Tutto questo nelle stesse ore nelle quali Hamas propone di liberare tutti gli ostaggi israeliani ancora in mano palestinese in cambio di una tregua quinquennale. La pace tanto invocata da Papa Francesco; questo sì sarebbe il suo miracolo.