di Giada Fazzalari
Da sempre il riformismo socialdemocratico è stato costituito dall’evoluzione di un movimento di emancipazione delle classi sociali più povere e represse, che ha avuto come obiettivi la libertà e la giustizia sociale, da conseguire non attraverso un moto rivoluzionario violento ma per mezzo di una serie di riforme progressive, strappate al capitalismo con gli strumenti della democrazia, della contrattazione, dell’organizzazione sindacale. C’è chi ha provato a sostenere che questa dinamica sociale e politica, sulla scorta delle conquiste del passato e della ritenuta irreversibilità del processo democratico, sia da considerare superata. Lo scenario attuale, però, induce a valutazioni assai diverse: la povertà non è stata abolita, anzi, sono circa sei milioni e mezzo i poveri assoluti in Italia e tre milioni i cosiddetti lavoratori poveri. L’esperienza degli ultimi anni insegna che anche diritti civili, diritti sociali, libertà e democrazia non possono considerarsi conquistati per sempre. E, dunque, lo scenario non è del tutto diverso da quello ottocentesco e novecentesco in cui riformismo e socialdemocrazia sono nati e si sono affermati. Per capire la realtà, bisogna sempre “pescare” e analizzare il passato. Cosa manca, oggi, per inaugurare una nuova stagione riformista che restituisca dignità a chi vive nella condizione del bisogno? La risposta è semplice: analisi della realtà, identificazione dei bisogni, elaborazione delle risposte a quei bisogni e, infine, la politica. Non siamo più in una condizione politicamente stabile in cui un campo di forze più progressiste compete con un campo più conservatore. La situazione geopolitica internazionale presenta sfide formidabili da affrontare senza margini di recupero in caso di errore. E quel pugno di uomini che rappresenta la grande ricchezza, dissimulata dietro il velo di qualche nuovo leader reazionario, è pronto a spingere ovunque indietro la frontiera delle conquiste economiche e sociali. Una nuova stagione riformista è, dunque, necessaria. Indispensabile. I dirigenti politici che oggi hanno l’occasione e la responsabilità di inaugurarla devono mostrarsi capaci di superare qualsiasi egoismo, ogni possibile interesse, tutte le resistenze, e mettersi a elaborare non alchimie elettorali, ma programmi politici sorretti dalla volontà esecutiva che si nutre di un ideale comune. L’impulso alla costituzione di un’alleanza elettorale alternativa alla maggioranza che sostiene il governo è solo il primo passo: le ragioni del riformismo troveranno gambe su cui fare strada solo se le forze politiche che stanno costruendo la coalizione delle opposizioni saranno capaci di trovare un progetto comune, che non potrà che essere riformista. Con questo spirito il Psi ha concorso a formare le coalizioni con cui partecipare alle prossime elezioni regionali, impegnandosi in una campagna elettorale che partirà dalla Festa dell’Avanti! di Bologna. Ecco, questo deve essere il riformismo del nostro tempo: la volontà dell’ideale comune di portare avanti quelli rimasti indietro. Ma soprattutto, ciò che muove la coscienza e i valori di ogni socialista: il senso di giustizia.