LE CARCERI SONO POLVERIERE

di Giada Fazzalari

Carceri in Sicilia: “sono fuori controllo, il sistema rischia l’implosione”. Pescara: “detenuto aggredisce un agente, polizia penitenziaria lasciata sola”. Viterbo: “804 detenuti su una capienza di 440 posti, nel Lazio cresce il sovraffollamento”. Sono solo alcune delle notizie che quotidianamente, di ora in ora, arrivano dalle carceri italiane. Una specie di drammatico bollettino che descrive sovraffollamento cronico, trattamenti sanitari disumani, carenza di organico, strutture obsolete e fatiscenti, disagio psichico. In poche parole, vere e proprie polveriere. A settembre del 2025 si è registrata la presenza di 63.161 persone detenute, mentre i posti regolarmente disponibili ammontano a 46.706. Un indice di sovraffollamento del 137,7%. Eppure nulla si è fatto per riportare la popolazione carceraria a cifre compatibili con la reale capienza degli istituti di pena. Ben più di un terzo di persone è rinchiuso in cubiculi degradati, in cui sono stipate molte più persone del tollerabile. Se fossimo un Paese civile, dovremmo riconoscere che in un moderno Paese civile la segregazione carceraria è una misura estrema da riservare solo a chi è pericoloso per la vita e l’incolumità delle persone; avere la lucidità di escludere che i condannati per reati non violenti vengano rinchiusi, essendo altre forme di privazione della libertà meno segreganti più che adeguate. E invece aumentano i detenuti, peggiorano le carceri, ed è tragicamente cresciuto il numero dei morti suicidi di galera. Come sempre accade, per farci guidare verso proposte di buon senso attualizzate ai tempi, bisogna “pescare” nel passato: a centovent’anni di distanza le carceri sono ancora “il cimitero dei vivi” descritto da Turati. La centralità del tema della recidiva era stata colta già dal Matteotti giurista, che proprio nella sua tesi di laurea sosteneva che per contrastarla occorre ridurre all’ indispensabile il ricorso alle pene carcerarie, essendo sufficienti, per conciliare sicurezza pubblica e finalità rieducative e di reinserimento sociale, altre pene come la detenzione domiciliare, le sanzioni interdittive, le condanne condizionali. Il sistema italiano attuale è, invece, dominato da sproporzione e incoerenza la cui esistenza dipende dell’incapacità politica di superare l’istinto popolare verso l’occhio per occhio. Ecco perché la proposta socialista per sopperire a questa tragedia quotidiana ci sembra quella più di buon senso: prevedere la detenzione domiciliare nell’esecuzione delle pene inflitte per reati in cui non c’è stata violenza alla persona umana. Non sconti, ma civiltà. Una nuova concezione della pena per chi commette reati deve privilegiarne funzione rieducativa e di reinserimento sociale rispetto alla mera afflizione. È una visione che trova fondamento nell’articolo 27 della Costituzione italiana. Sarebbe ora di applicarlo.

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