Lavoro e bene comune: la sinistra riprenda il dialogo con i cattolici

di Andrea Follini

Il lavoro, la giustizia sociale, la solidarietà tra gli uomini. In un tempo di profonda trasformazione, quando la crescente industrializzazione poneva agli occhi della società e della politica dinamiche nuove, quando la possibilità di riscatto da una condizione sociale pessima portava con sé il rischio di passare attraverso una rivoluzione violenta, Papa Leone XIII emanava l’enciclica Rerum Novarum, perché la Chiesa potesse dare una lettura propria su quanto stava accadendo, indicando anche una via per una nuova giustizia sociale. L’enciclica, del 1891, poneva in particolare l’attenzione al rapporto tra lavoratore e “padrone”, alla concentrazione della ricchezza in poche mani, alla necessità di sgonfiare un conflitto perdurante tra classi sociali, passando attraverso un nuovo rispetto reciproco ed un accrescimento dei diritti, specie per la classe operaia. Una sorta di rivoluzione per la Chiesa e dalla Chiesa, prima che la tensione sociale si trasformasse in vera rivoluzione violenta. Con questo documento la religione cattolica si relazionava in modo nuovo al mondo del lavoro e, soprattutto, ai diritti dei lavoratori: cominciava a prendere corpo la dottrina sociale della Chiesa, che segnerà significativamente anche gli anni a venire, ricercando col tempo una lettura sempre attualizzata ai momenti che la Chiesa e la società stavano vivendo. Ne uscì una sorta di mediazione tra il laissez-faire liberale e l’anti marxismo più acceso, nella quale il Pontefice seppe destreggiarsi molto bene, ponendo le basi di un dialogo sociale che continuerà, anche se il capitalismo troverà negli anni altre forme ed altri luoghi, non solo l’economia basata sull’industrializzazione ma forse ancor più nella finanza, per avere spesso la meglio in questa disfida tra correnti di pensiero politico-economico. I medesimi concetti, cento anni dopo, sono stati riletti ed attualizzati da Giovanni Paolo II nella Centesimus annus, altra pietra miliare della dottrina sociale della Chiesa, con la quale Wojtyla analizzava la criticità dei sistemi economici, sia socialisti che di mercato, e rilanciava la dignità dell’uomo ed il bene comune come obiettivi cui tendere. Questa analisi storica dovrebbe aiutarci a comprendere la scelta del nome pontificale che Robert Francis Prevost ha scelto per sé. Se è vero, com’è storicamente vero, che la scelta del nome di un Pontefice da una traccia di come egli voglia impostare il suo pontificato (pensiamo a Giovanni Paolo I, a Benedetto XVI ed allo stesso Francesco) Leone XIV sicuramente ci parlerà ancora di una economia e di una finanza che non possono essere fine a sé stesse, non possono escludere l’uomo come centro del loro agire e della ricerca del bene comune come aspirazione, mettendo al centro il lavoro come strumento di emancipazione. Un Papa missionario negli angoli più sperduti del mondo, sa bene chi sono gli ultimi e cosa significhi essere tali. Non sarà impossibile trovare anche una chiave di lettura laica per chi intende i valori della giustizia sociale, dell’umanizzazione del lavoro, di una economia che sia a favore di tutti e non di pochi, come fondamenta del proprio agire politico. Una comunanza di obiettivi, ancorché nascenti da presupposti diversi, che a noi socialisti rendono anche questo Papa, così come fu Francesco, particolarmente vicino. Del resto è nella tradizione socialista guardare con attenzione a quanto succede oltre Tevere: la sottoscrizione del nuovo Concordato nel 1984, quarant’uno anni fa, sfruttando forse anche un momento di debolezza del consenso della Chiesa, alla luce di una rinascente laicizzazione del Paese (erano i tempi del referendum su divorzio e aborto), stanno a ricordare un’azione magistralmente messa in campo dal primo Presidente del Consiglio socialista, Bettino Craxi. Ora la grande trasformazione dell’industrializzazione di fine ‘800 lascia il campo a nuovi traguardi per il lavoro: una tecnologia in evoluzione costante, la nuova frontiera dell’intelligenza artificiale, una globalizzazione del lavoro che rende labili le frontiere, le nuove priorità nel modo di vivere che i nostri giovani ci stanno insegnando, segnano la necessità di rivedere, ancora una volta, le ricadute sociali di un mondo in frenetico mutamento. Forse è tutto ciò che ha spinto Prevost verso la scelta del nome. Di certo sono le condizioni che spingono i socialisti a continuare ad interrogarsi ed a proporre adeguate politiche perché non si perda la centralità dell’uomo nei diritti e nella ricerca della giustizia sociale. Valori che dovrebbero muovere anche l’intera sinistra a riprendere un dialogo più serrato con il mondo cattolico, senza pregiudizi, laicamente, valorizzando quelle comunanze che possono aiutare a creare un solido argine all’edonismo dilagante.

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