La manovra non decolla, troppi personalismi nella maggioranza

di Andrea Follini

Sembra non si sappia che pesci pigliare. Nel ricercare un accordo sul nuovo patto di stabilità europeo, i leader dei Paesi più rappresentativi dell’Unione non riescono a prefigurare un orizzonte stabile e sembrano arrendersi davanti all’ipotesi di regole nuove per una economia nuova: si torni al vecchio ma conosciuto sistema di equilibrio e ci si dia più tempo per pensare a nuove regole, condivise. Potremmo tradurre così la situazione di stallo all’uscita dall’Ecofin della scorsa settimana: i ministri dell’economia di Francia, Italia, Germania e Spagna (quest’ultima di turno alla presidenza del Consiglio dell’Ue sino a fine anno) non trovano la quadra sulla proposta spagnola e tra richieste di una maggiore rigidità che vengono dalla Germania e dai paesi de nord Europa, e una maggiore flessibilità richiesta invece da Italia e Francia, i giochi restano al palo. Giorgetti punta ad una gestione transitoria del debito, da spalmare in più annualità, consentendo specie al nostro Paese una maggiore tranquillità negli investimenti ed una ritrovata serenità dopo la crescita vertiginosa dei tassi d’interesse degli scorsi mesi. Un compromesso di questo tipo favorirebbe del resto anche la definizione delle nostre questioni interne, ovvero la chiusura di una manovra finanziaria più tranquilla; oramai è chiaro, dopo i numerosi rinvii della discussione in commissione al Senato, che il testo definitivo della legge di bilancio non c’è. Troppe tirate di giacca al Ministro dell’Economia; troppo forte la necessità per ogni forza politica della maggioranza di mettere la bandiera su questo o quel provvedimento, perché, si sa, a giugno ci sono le europee, dove si vota con il proporzionale puro, e lì ognuno corre per sé. Ecco allora gli emendamenti del Governo al suo testo di legge, per cercare di accontentare tutti: c’è una nuova attenzione per le pensioni del personale sanitario (e per tutti gli altri lavoratori, pazienza); una rivisitazione in aumento degli integrativi per il comparto sicurezza (da sempre la destra vi presta un’attenzione particolare); ci sono da accontentare le Regioni che chiedono maggiore possibilità di manovra, e la maggioranza risponde dando con una mano 100 milioni per il 2024 per l’aumento dei costi dell’energia (ma togliendo con l’altra 250 milioni per gli investimenti); e poi, come non potrebbe essere altrimenti, c’è il ponte sullo stretto di Messina, che grazie a questo emendamento vede il suo finanziamento nuovamente ricalcolato, o meglio, “rideterminato con una diversa strutturazione dei costi a carico dello Stato e della Regione”. Che giro di parole illuminante! Nulla all’orizzonte rispetto a quanto aveva chiesto l’Unione Europea al Governo italiano a fine novembre quando, valutando il provvedimento, lo aveva ritenuto non pienamente in linea con le raccomandazioni mosse a tutti i Paesi da Bruxelles. Un nodo che verrà di fatto spostato a primavera, dove saranno necessari sostanziali correttivi. Del resto quella presentata dal Governo è una manovra di bilancio in disavanzo per circa 12,5 miliardi di euro. Non cosa da poco. Intanto le opposizioni hanno presentato qualcosa come duemilaseicento emendamenti, quasi a spingere il Governo a richiedere la fiducia, denunciando nel contempo che questo provvedimento non affronta i grandi temi sui quali il Paese avrebbe necessità di risposte concrete e veloci, come la spesa sanitaria, il lavoro ed il lavoro povero, nuove prospettive per i giovani. Da accompagnare ad un’azione incisiva per fermare la crescita inflazionistica. Il Governo dei “pronti”, quindi, non è ancora pronto affatto, come stiamo vedendo; il desiderio della premier di chiudere la legge di bilancio nella settimana appena trascorsa, è ampiamente naufragato. L’appuntamento ora è al Senato il 18 dicembre, ma il puzzle si deve comporre anche con ciò che succederà a Bruxelles. I parlamentari non prendano impegni per i giorni dopo Natale.

Ti potrebbero interessare