Intervista a Tommaso Della Longa: «I nostri colleghi morti per salvare vite umane. Situazione devastante, fateci operare in sicurezza»

di Andrea Follini

Il mai cessato attacco israeliano verso il popolo palestinese ha mietuto altre vittime civili; la scomparsa segnalata qualche giorno fa di nove operatori paramedici della Mezzaluna Rossa a Gaza, insieme ad altri otto operatori umanitari, tra protezione civile e funzionari Onu, ha avuto come epilogo il ritrovamento dei cadaveri. Un’altra strage.

«Un’altra strage, questo è, senza ombra di dubbio. E non è la prima. Con questi otto colleghi della Mezzaluna Rossa di cui sono stati ritrovati i corpi ieri, il numero dei nostri sanitari uccisi nel conflitto è salito a trenta, tra Gaza e la Cisgiordania. A questi si sommano anche i sei colleghi della Stella di David Rossa che sono stati uccisi il 7 ottobre durante gli attacchi. Quanto accaduto è l’icona di cosa sia diventato questo conflitto. Dove non c’è rispetto per gli operatori umanitari, non c’è rispetto per i civili, non c’è rispetto per i giornalisti. Quanto successo è un precedente gravissimo per una serie di motivi. Il primo, perché la perdita anche di una sola vita umana, di un operatore sanitario, è già troppo. Il secondo perché uccidere operatori umanitari, distruggere ambulanze, colpire strutture sanitarie, significa sostanzialmente indebolire intere comunità, perché alla fine quelle ambulanze non potranno più andare a salvare vite o a portare soccorso dove sarebbe necessario portarlo, e quindi ci saranno persone che saranno a rischio vita, perché non ci saranno più quell’ambulanza, quel operatore medico. È un effetto domino sinceramente sconvolgente. I nostri colleghi sono entrati il 23 marzo in un’area di Rafah che si chiama Tal al-Sultan; dovevano fare quello che sono chiamati a fare: salvare le vite di alcuni feriti, ma sono finiti sotto il fuoco. Da quel momento in poi abbiamo perso ogni contatto. Per una settimana intera abbiamo chiesto di avere accesso all’area, di avere informazioni su quanto era successo ai nostri colleghi, ma solo ieri siamo riusciti ad entrare ed abbiamo visto questa carneficina. Oltre ai morti, ricordo che uno degli operatori risulta ancora disperso. È sconvolgente, scioccante. L’abbiamo condannato in ogni modo possibile. E poi c’è tutto il lato umano: questi colleghi lasciano mogli, figli, amici, altri colleghi. È semplicemente devastante».

Secondo l’Onu, oltre mille operatori sanitari sono stati uccisi dopo gli attacchi del 7 ottobre 2023. Che si aggiungono ai 209 giornalisti morti sul campo. In ogni guerra, gli operatori umanitari, come i giornalisti, non dovrebbero mai essere un bersaglio…

«Operatori umanitari e giornalisti non dovrebbero mai essere un bersaglio, così come i civili, le strutture sanitarie. Ma il dramma è che in qualche modo il mondo sta normalizzando queste situazioni. Ecco, io sinceramente quello che non vorrei è costruire un mondo per mia figlia o per le generazioni future, dove sia normale che un ospedale venga bombardato, che un’ambulanza venga colpita, che un operatore umanitario o un giornalista vengano uccisi. Lo scorso anno, in tutto il mondo, abbiamo raggiunto il numero più alto, probabilmente nella storia, di operatori umanitari uccisi. Nel 2025 ancora ci troviamo a vivere questi drammi, che passano in secondo piano, che diventano numeri e statistiche. Fa male perché, lo voglio ribadire, questi colleghi dovevano ritornare a casa. Non si sono mai fermati per diciotto mesi. E questo è umanamente sconvolgente, moralmente e soprattutto legalmente, inaccettabile».

Lo stop all’ingresso da Rafah degli aiuti umanitari dopo la ripresa del conflitto seguita alle poche settimane di tregua, ha ulteriormente aggravato le condizioni della popolazione. Come riesce la Croce Rossa a fare fronte all’emergenza sanitaria?

Grazie per questa domanda. Stiamo vivendo il periodo più lungo dall’inizio del conflitto senza nessun ingresso di aiuti umanitari o beni di nessun tipo. Sostanzialmente i confini sono sigillati. E ovviamente la situazione si sta deteriorando di minuto in minuto e già stiamo vedendo una serie di emergenze; mancano i sussidi basilari, come acqua e cibo; ma anche più della metà delle ambulanze della Mezzaluna Rossa palestinese sono indisponibili, o perché sono state colpite o perché manca il carburante. Che le ambulanze non si possano muovere dentro alla Striscia di Gaza perché non può entrare il carburante, è un’altra cosa inaccettabile. Quando qualcuno chiamerà il numero di emergenza, i nostri operatori si troveranno nelle condizioni di non poter dare una risposta perché non c’è un’ambulanza disponibile. Pensate se accadesse in una delle nelle nostre città. Ecco, questo è quello che sta succedendo in questo momento a Gaza. Per non parlare della mancanza di medicinali. Grazie al cessate il fuoco la Mezzaluna Rossa palestinese era riuscita per la prima volta a montare un ospedale da campo avanzato a Gaza City, addirittura con la terapia intensiva, una neonatologia, ecc. Senza medicinali e senza apparecchiature mediche, ora tutti i piccoli passi che erano stati fatti in sei settimane rischiano di essere buttati al vento. Troppe sono le persone con condizioni di salute precaria, che sono a rischio vita. Se gli aiuti umanitari entrassero nella Striscia di Gaza, la situazione potrebbe almeno essere gestita. Cosa che non succede. Gli uomini e le donne della Mezzaluna Rossa palestinese rimangono li, continuano a lavorare con capacità sempre più limitate e in una situazione impossibile. Le nostre richieste sono chiare, e drammaticamente sono rimaste le stesse fin dall’inizio: fermate il conflitto, proteggete e rispettate i civili e gli operatori umanitari, fate entrare gli aiuti umanitari da qualunque confine possibile; date accesso umanitario in tutta la Striscia con sicurezza e senza nessun blocco; liberate immediatamente ed incondizionatamente tutti gli ostaggi. Queste sono le nostre richieste alle parti in causa, e non sono mai cambiate».

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