Intervista a Martina Marchiò: «Qui a Gaza l’annientamento di un popolo. E’ l’Apocalisse, non c’è più tempo si muore per le bombe e la fame»

di Giada Fazzalari

Martina Marchiò è la responsabile medica per le attività di Medici Senza Frontiere a Gaza City, dove è tornata dopo un anno dalla precedente missione, della quale avevamo dato conto sulle pagine dell’Avanti! Operatrice umanitaria per MSF in molti teatri “difficili” (Congo, Mozambico, Etiopia, Sud Sudan, Messico, Grecia, Bangladesh) riporta in questa intervista quanto sta vivendo nel terribile contesto di Gaza.

Quasi un anno fa, in una intervista a questo giornale, aveva fatto un appello alla comunità internazionale per poter consentire alle organizzazioni umanitarie come Medici Senza Frontiere di potersi occupare dei feriti e salvare vite. Cosa è cambiato da allora?

«Purtroppo la situazione è peggiorata ulteriormente. Dopo che il cessate il fuoco di gennaio 2025 è stato disatteso nel mese di marzo, la situazione si è inasprita ancora di più. Al momento l’81% della Striscia di Gaza è sotto occupazione militare o è sotto ordine di evacuazione. Questo significa che le persone sono state sfollate con la forza ancora una volta e continuano ad essere confinate in uno spazio sempre più piccolo. Oltre al fatto di dover lottare per la sopravvivenza e difendersi dalle bombe, si aggiunge il fatto di dover lottare contro la fame e contro la sete».

Si è detto: il governo israeliano usa la fame come arma di guerra…

«Sì. Le persone si ritrovano allo stremo delle forze, affamate e assetate. È uno scenario desolante, tra il fatto di doversi spostare continuamente e la difficoltà a trovare un rifugio».

Cosa l’ha colpita di più, tornando a Gaza un anno dopo?

«Proprio la distruzione degli edifici, dello spazio, di qualsiasi cosa prima fossi in grado di riconoscere o avessi imparato a riconoscere. È proprio difficile per le persone trovare un rifugio ogni volta che si spostano. La maggior parte della gente si ritrova in tenda e ad esempio, uno dei problemi più importanti, è che non c’è acqua pulita. Medici Senza Frontiere ne sta distribuendo in moltissimi punti della Striscia, ma chiaramente non è sufficiente».

Dicevamo, le persone ridotte alla fame.

«Una tragedia enorme. Anche nei nostri ambulatori qui a Gaza City stiamo vedendo un aumento del 32% dei casi di malnutrizione nelle donne in gravidanza, in allattamento e nei bambini sotto i cinque anni. Qui però nessuno è immune dalla fame. Ci sono pazienti che arrivano nelle nostre cliniche e ci dicono di non mangiare da tre o quattro giorni, arrivano piangendo per la fame sia adulti che bambini e questo ci fa sentire terribilmente impotenti. Dai banchi del mercato sta scomparendo tutto, non ci sono più le uova, non c’è più la carne, non ci sono più tante verdure, la frutta è scomparsa, il riso e la farina si fa fatica a trovarla; un chilo di farina ormai costa più di 10-15 dollari, la situazione è davvero molto complicata. Il centinaio di camion che è entrato è assolutamente insufficiente a rispondere ai bisogni della popolazione che sono troppi. Ci servirebbero oltre seicento camion al giorno per avvicinarci all’obiettivo di cominciare a tirar fuori i civili dalla disperazione».

Una tragedia nella tragedia: i bambini. Ventimila sono morti in diciannove mesi. Sono loro le vere vittime?

«In quasi venti mesi la situazione non è cambiata. I bambini hanno lo sguardo già adulto. Hanno fame e ti chiedono di dargli qualcosa da mangiare. Mi è capitato, qualche settimana fa, con una bambina di nove anni e quando anche un bambino così piccolo ti chiede di dargli qualcosa da mangiare portandosi la mano verso la bocca e facendo il gesto di mangiare e con gli occhi lucidi, ti senti ancora una volta immobilizzato. I bambini continuano a morire, continuano a spostarsi con i familiari, continuano a vivere nella violenza. I bambini rimasti con gravi disabilità fisiche soprattutto amputazioni agli arti, sono una media di quindici al giorno, hanno davanti a loro una vita cambiata per sempre. Anche quelli che sopravvivono, quelli che non muoiono nelle esplosioni, che non muoiono bruciati, che non muoiono dai colpi d’arma da fuoco, hanno però una vita completamente devastata. Nessuno pensa al domani, non c’è una proiezione nel futuro, né negli adulti né nei bambini. Qui le persone, lo vedo dai miei colleghi palestinesi quando ti salutano, ti dicono: “ci vediamo domani forse, speriamo”. Hanno una vita di breve termine».

Sono morti operatori umanitari, medici e paramedici, che erano a Gaza per salvare vite. Cosa significa fare l’operatore umanitario in un contesto come quello?

«Essere operatore umanitario in un contesto come Gaza significa lavorare in un posto in cui la legge internazionale umanitaria non viene rispettata, in cui gli aiuti umanitari vengono usati come arma di guerra, in cui le strutture sanitarie diventano dei bersagli. Nell’ultima settimana venti strutture sanitarie sono state colpite o obbligate a chiudere. Questo è un orrore che si ripete continuamente. E significa lavorare in un posto in cui il bersaglio ha più valore di qualsiasi cosa ci sia intorno; bisogna confrontarsi con dei rischi per la propria sicurezza, con il fatto che purtroppo qui non esiste una zona umanitaria e qui in realtà non esiste nessun posto che è davvero veramente sicuro. Ci si ritrova in balia di un contesto completamente imprevedibile che non si riesce ad anticipare. Si lavora con la linea del fronte, la linea di evacuazione, i movimenti delle truppe e gli attacchi che cambiano, si spostano, così come la popolazione che si muove».

Con tragedie ed orrori come l’Olocausto si era detto “mai più”. Come è stato possibile tutto questo? Sono morti quasi sessantamila civili palestinesi.

«Purtroppo stiamo assistendo all’annientamento totale di un popolo in mondovisione. Eppure il mondo continua a rimanere complice. C’è bisogno in questo momento che la comunità internazionale possa prendere veramente una posizione immediata e chiara, non c’è più tempo, siamo alla fine, potrebbe non esserci più un domani, non sappiamo quanto le organizzazioni umanitarie, le Nazioni Unite potranno rimanere qui, perché purtroppo la velocità con cui arrivano gli attacchi, gli ordini di evacuazione e questa presa della Striscia da parte delle forze israeliane è qualcosa di molto inquietante».

Come osserva, un operatore sanitario sul campo come lei, le “tifoserie” nate nell’opinione pubblica e nei media, insieme alle accuse di antisemitismo a chi si schiera contro una strage che si compie ogni giorno?

«In realtà, quando sei dentro la striscia di Gaza, queste tifoserie da stadio, queste discussioni trovano il tempo che trovano e qui c’è un’altra priorità che è quella di aiutare la popolazione il più possibile, cercare di portare a casa la pelle alla fine della giornata. Detto ciò, è chiaro per tutti quello che sta accadendo, Gaza ha avuto la fortuna di avere persone all’interno che con i loro cellulari si sono messi in gioco, di giornalisti che con le loro macchine fotografiche e i loro cellulari si sono spinti davvero ai limiti per far vedere quello che stava accadendo, cosa che tantissimi conflitti dei giorni nostri purtroppo questa fortuna non ce l’hanno, perché non in tutte le parti del mondo la popolazione ha degli smartphone e una connessione internet per far vedere quello che capita. Devo dire che in questo caso nessuno può più dire di non sapere. È davanti agli occhi di tutti che quello che sta avvenendo, è l’annientamento e la cancellazione di un popolo e non ci possono essere dubbi su questo punto. La cosa che fa male è vedere che la situazione sta deteriorando ogni giorno di più, che siamo davvero a fine corsa e che ci sono ancora persone che dubitano di ciò che sta accadendo qui».

Cosa resterà di Gaza?

«Se la comunità internazionale non prende una posizione ora, adesso, domani di Gaza non sarà rimasto nulla. Il livello di distruzione è inimmaginabile, siamo davvero di fronte all’apocalisse, parliamo di distruzione di edifici e di ambiente, di vite umane perdute. Purtroppo questa è una pagina nera nella storia dell’umanità, c’è un prima e un dopo Gaza, e non c’è perdono per nessuno e quello che sta accadendo a Gaza ce lo porteremo dietro per sempre. Ciascuno dovrà fare i conti con le proprie responsabilità, dopo venti mesi di un orrore e di un annientamento di un popolo la cui storia è ormai è alle battute finali».

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