Racconta Fabio Martini: «Quel che è accaduto nel corso di questo anno di celebrazioni per i cento anni dalla scomparsa di Giacomo Matteotti ha qualcosa di sbalorditivo. Non è stato evidenziato dai media e merita di essere capito, perché racconta l’Italia che viviamo da un angolo visuale diverso dal solito…».
Dal 1989 a “La Stampa”, inviato e commentatore di politica italiana, Fabio Martini è stato allievo dello storico Paolo Spriano e ha scritto diversi saggi: sulla storia della propaganda in Italia da Mussolini ad oggi, sul più grande sindaco della storia di Roma Ernesto Nathan, su Bettino Craxi.
Martini, ma cosa c’è di così rilevante che sia sfuggito a tutti i media?
«Due cose assai significative si sono manifestate nel corso dell’anno appena trascorso. Da una parte sono fiorite, spontaneamente, centinaia e centinaia di iniziative di ogni tipo per ricordare Matteotti, sono usciti cinquantasette libri, sono stati realizzati spettacoli teatrali e musicali, si sono attivate università e scuole, sono state organizzate mostre assai importanti e una ha girato per il mondo. Una valorizzazione di un personaggio politico con pochi precedenti nella storia della Repubblica. Dall’altra, la politica. Abbiamo scoperto che Matteotti, così scomodo, così fuori dagli schemi e così avversato da vivo da tanti – fascisti, comunisti, massimalisti, liberali – si è rivelato ingombrante anche cento anni dopo. Con l’eccezione del Psi, i partiti di sinistra hanno attraversato l’evento come un atto dovuto, con dichiarazioni di circostanza. I leader del centrosinistra sono disinteressati alla storia, sono quasi impauriti da chi c’è stato prima di loro e nel caso di Matteotti sanno bene che approfondire la figura di un riformista a tutto tondo non conviene politicamente: la sua battaglia per la libertà fu combattuta anche contro il bolscevismo, russo e italiano. Un riformista che non esitava a chiudere accordi sindacali, che invitava a non sfondare i bilanci pubblici, che detestava la demagogia. Poco attuale».
Ma centinaia di manifestazioni di “base” e cinquantasette libri non sono poca cosa: di per sé sono destinati a lasciare una traccia, a dare un senso a questo centenario?
«Assolutamente sì. C’è da aggiungere che nel corso di questi ultimi anni molto era stato fatto dalla Fondazione Matteotti, guidata da Alberto Aghemo e dagli storici che nei decenni scorsi hanno studiato e approfondito la figura di Matteotti: Stefano Caretti, Maurizio Degl’ Innocenti e prima di loro Gaetano Arfè, Giuseppe Tamburrano, Glauco Casanova. In questi mesi tanti approfondimenti lasceranno una traccia in chi vi ha partecipato. Così tanti eventi spontanei perché la novità di una baldanzosa destra al governo, con venature nostalgiche, produce un grande bisogno di solidi punti di riferimento ideali. Chi meglio di Matteotti? I partiti invece sono rimasti ancorati al mito: bene il ricordo di Matteotti, purché resti retorico, alto, un’icona depoliticizzata. La destra di governo, con l’eccezione del Presidente della Camera Lorenzo Fontana, promotore di una cerimonia di livello a Montecitorio, ha fatto il minimo indispensabile, non ha colto l’occasione della celebrazione di un martire, per uno scatto. Ai veri nostalgici del fascismo la figura di Matteotti ricorda che la dittatura – nella sua natura illegale – ebbe inizio negli anni Venti e non con gli “errori” delle leggi razziali».
Il destino vuole che il centenario di Matteotti sia coinciso con la prima volta alla guida del governo di un’esponente che viene dalle file post-fasciste. Tu parli di nostalgismo della destra, ma non è riduttivo come giudizio? In alcuni casi non si può parlare di atteggiamenti che ricordano il fascismo storico?
«È vero, alcuni esponenti, anche istituzionali, sono venuti fuori al “naturale”, manifestando nostalgismi anti-storici. Mentre la Presidente del Consiglio con qualche caduta (la battutaccia su Ventotene) e significativi omissis (il ruolo dell’antifascismo, la fase nascente e finale del fascismo) dal punto di vista formale si è espressa chiaramente sul complesso di quella stagione storica. Ma immaginare di poter etichettare come fascista l’attuale governo è fuori dal mondo. Il fascismo ha connotati proverbiali e tipici, a cominciare dalla conquista violenta del potere. E tuttavia esiste il problema di capire bene – e quindi da definire – che roba sia la nuova destra che si è affacciata al potere in alcuni Paesi del mondo, come gli Stati Uniti, quanto sia pericolosa, quanto sia diversa o simile a quella italiana. Quello trumpiano è un nuovo fascismo? Una destra mai vista prima? Tutte questioni aperte, molto serie e gravi».
E allora, tanto vale focalizzarsi sulla destra italiana: come sta evolvendo?
«Per due anni, sui dossier fondamentali, la destra di governo si è mossa in perfetta continuità con il governo precedente: tenuta dei conti pubblici e appoggio alla resistenza ucraina. Poi è arrivato Trump che è destra vera, autoritaria, sprezzante, che avanza a colpi di manipolazioni e falsi. Una destra che affascina e piace ad una certa destra nostrana: Salvini e fasce di elettorato trasversale di destra e non solo. Meloni sta alla finestra e lo fa, occorre riconoscerlo, con notevole capacità tattica e di posizionamento sul breve. Da qualche settimana qualcosa si sta muovendo…».
In che senso?
«Nessuna dietrologia. Il decreto sicurezza è il più importante provvedimento, apertamente e orgogliosamente, di destra varato da questo governo. Alcune norme, sulla resistenza passiva, sul diritto di manifestare, sui poteri speciali attribuiti ai Servizi, lasciano intendere un cambio di passo. Non il passo dell’oca ma certamente un passo destrorso, confermato anche dalle modalità di approvazione del decreto. Da quando sono cronista parlamentare, dal 1989, non avevo mai assistito ad una procedura come questa: il testo scritto dal governo non è stato fatto toccare dal Parlamento. È entrato alla Camera e poi uscito dal Senato tal quale, senza una sola modifica. Ma se il governo scrive un decreto e quel testo finisce in Gazzetta ufficiale, tanto vale dire: il Parlamento non serve. E dunque, se questa procedura dovesse ripetersi, saremmo ad un passo dalle democrature, quell’impasto di democrazie e dittature nelle quali puoi votare (formalmente) ma il potere è concentrato nell’autocrate. Sia chiaro: in Italia non siamo a questo, ma nei prossimi mesi bisognerà tenere d’occhio la possibile trasformazione della destra di governo in una destra-destra. Qualcosa che in Italia non abbiamo mai visto».