di Lorenzo Cinquepalmi
Non era un francescano, ma un gesuita. Eppure volle essere il primo pontefice della storia a portare il nome del santo più eversivo dei due millenni di storia del papato, quello il cui esempio sconvolse il potere delle gerarchie ecclesiastiche del suo tempo, il santo della povertà. E la sua sensibilità, pubblica e segreta, per i poveri, per gli ultimi, per i diseredati, è il marchio del suo pontificato. Ha attraversato un tempo in cui la ferocia della ricchezza nei confronti della povertà ha raggiunto livelli che non si credevano possibili. E mentre le voci delle ideologie politiche che dovrebbero difendere la causa dei diseredati si affievoliva in tutto il mondo, la voce di quest’uomo venuto dal Sudamerica si levava a denunciare l’ingiustizia sociale alla conquista del mondo. La sua critica al capitalismo contemporaneo è stata sempre, non solo da pontefice ma già da primate d’Argentina, netta e dura, tanto da farlo accusare d’essere socialista da coloro per cui il socialismo è una specie di bestemmia, come l’attuale presidente argentino Milei, uno dei tanti esponenti dell’internazionale nera che la grande ricchezza ha scatenato alla conquista dell’occidente. Francesco Primo ha criticato duramente il capitalismo contemporaneo, quel capitalismo sfrenato che ha definito “capitalismo del diavolo”. Ha invocato un cambiamento di paradigma verso un’economia più sobria, sostenibile e inclusiva, che tenga conto dell’intera persona e delle future generazioni, e che cancelli o attenui l’impatto negativo del capitalismo sull’ambiente e sulla società, producendo povertà, disuguaglianza, emarginazione e disperazione. Il “capitalismo inclusivo” invocato da papa Francesco è, in fondo, quello stesso capitalismo che, per Olof Palme, non doveva essere abbattuto ma tosato. E iscrive questo papa povero nel novero degli ideologi di un modello di società strutturato sull’economia sociale di mercato, che è il modello europeo e che non è mai stato il modello statunitense, come dimostra l’abbandono della leadership occidentale operata da Trump. Bergoglio ha messo sotto gli occhi di tutti lo scontro mortale tra egoismo e altruismo, tra indifferenza e misericordia, tra solitudine e comunità. Le sue parole e le sue azioni concrete, la sua presenza nella società civile, l’apertura libera da pregiudizio, quasi laica, su temi considerati intoccabili, lo hanno reso riferimento di chi crede nel dovere di realizzare una società più giusta. In un libro scritto con due giornalisti argentini, ha dichiarato di ritenere necessaria la «presenza di una gamba regolatrice, che è lo Stato, per il funzionamento dell’economia», aggiungendo «Sì, faccio politica, perché ogni persona deve fare politica. Il popolo cristiano deve fare politica. Quando leggiamo ciò che Gesù ha detto, possiamo vedere che stava facendo politica». Il che, per noi che abbiamo sempre considerato Gesù il primo socialista della storia, è semplicemente la conferma di cosa si debba realmente intendere quando si richiamano le radici cristiane d’Europa. Ecco perché Francesco mancherà ai poveri, agli ultimi, a tutte le vittime del capitalismo del diavolo impersonato dal trumpismo e dalla corte di accaparratori che lo esaltano. E mancherà a noi socialisti che crediamo ancora che l’economia di mercato sia benefica solo se adotta un programma sociale, se trova il modo di mantenere un equilibrio tra gli appetiti del capitale e la diffusione del benessere. Forse non ti faranno santo come i tuoi predecessori, Jorge, ma per il popolo sei stato e sarai l’apostolo di chi vuole portare avanti quelli nati indietro. Mancherai.