IL CAPOLAVORO DI NETANYAHU

di Giada Fazzalari

La politica – la Grande Politica – è sempre visione, futuro, equilibrio tra tattica e strategia. Ha un occhio piantato nel presente e uno proiettato nel futuro. Si misura sui tempi lunghi. È profetica. Prova a immaginare come le scelte di oggi possano migliorare il futuro, renderlo un luogo più giusto. Guardando alle scelte fatte in un Medio Oriente che brucia, e non da ora, Netanyahu ha fatto scelte unicamente piegate al presente. Lui e la sua classe dirigente hanno agito voltando le spalle al futuro, senza un briciolo di lungimiranza. E il vero “capolavoro” che hanno realizzato è che ora il futuro – della Palestina, di Israele e di tutto il Medio Oriente – sarà peggiore di prima. Perché Israele è ormai un Paese guardato con rancore e con disprezzo – per usare degli eufemismi – da mezzo mondo, mentre i figli della distruzione di Gaza, diseredati e apolidi, saranno per decenni guidati dall’odio e dalla vendetta. Israele ha ovviamente “vinto” la guerra – era come mettere a confronto Davide e Golia – ma ha gettato troppe ombre su di sé e su una storia immensa e secolare. Fino a qualche anno fa Israele era la democrazia di riferimento nel Medio Oriente: oggi è un Paese che si è macchiato di crimini contro l’umanità ed è gravemente discreditato. La Palestina la guerra l’ha persa – una guerra determinata da un’azione terroristica inqualificabile – ma purtroppo vedrà crescere nel suo corpo sociale più profondo l’odio, il rancore, la vendetta. Che non dureranno giorni o settimane, bensì mesi, anni, forse decenni. E quando si parla di Israele come unica democrazia della regione, bisogna porsi quantomeno delle domande: è una democrazia quella in cui semplicemente esiste l’esercizio del diritto al voto? È una democrazia un Paese che ha leader e classi dirigenti che ammazzano civili, chiudono i giornali, comprimono le libertà e sopprimono la dignità di un popolo senza Stato? È lecito dubitarne. Se oggi la reazione di Israele è così inaccettabilmente sproporzionata rispetto al legittimo esercizio del diritto di difendersi è perché Israele stessa sta perdendo il suo carattere di stato democratico. La democrazia in Israele sta subendo una irreversibile regressione. Tutto il mondo si chiede, giustamente, cosa resterà di Gaza, dietro quelle macerie fatte di sangue, cemento e migliaia di morti. Pochi si domandano quando siano incalcolabili i danni politici, reputazionali e, soprattutto, morali di un Paese che è stato grande ed è divenuto ‘canaglia’. Eccolo, il “capolavoro” di Netanyahu: aver reso inviso Israele a mezzo mondo, aver creato con la guerra tanti figli inferociti dell’orrore, aver creato le premesse per una radicalizzazione dell’islamismo palestinese e aver estremizzato finanche terroristicamente un sionismo integralista, fanatico, cruento, odioso, sordo a qualsiasi moderatismo. Un “capolavoro” mostruoso, quello di Netanyahu, un incubo perfetto. Come disse Calgaco duemila anni fa: “Fecero un deserto e lo chiamarono pace”.

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