di Giorgio Santelli
Guardando i tg e leggendo i giornali si può scoprire che troppe volte non si va oltre a quello che viene proposto dal mainstream. Prendiamo i due conflitti: quello russo-ucraino e quello israelo-palestinese. Leggiamoli con i dati. La scorsa settimana a Sumy, in Ucraina, attacco missilistico russo: 34 morti tra cui 2 bambini e 117 feriti. Putin, secondo alcuni analisti, uccide i civili per creare terrore, fiaccare l’esercito ucraino e spingerlo alla resa. Si parla di Putin assassino, Putin che sta compiendo il genocidio del popolo ucraino, Putin carnefice di civili, donne e bambini. L’Europa si riarma, condanna il dittatore. Alcuni Paesi sarebbero addirittura pronti ad andare in guerra.
I civili del conflitto Russo Ucraino A dare profondità all’orrore del conflitto i morti civili (12.340 secondo le Nazioni Unite) tra questi, secondo l’Unicef ci sarebbero almeno 2500 bambini. Ne morirebbero 16 ogni settimana. Cifre gigantesche, ferme all’inizio del 2025.
E i giornalisti? Partiamo dal 2014 quando è cominciata la crisi. Da allora sono stati uccisi in totale 104 operatori dei media, di cui 15 morti mentre lavoravano. Di questi, 95 erano uomini e 9 donne. La maggior parte delle vittime erano operatori dei media ucraini, mentre 10 erano cittadini stranieri.
L’altro fronte, quello israelo palestinese. La mattina del 7 ottobre 2023 l’attacco contro Israele: la città di Sderot, una ventina di villaggi del Sud del Paese, due installazioni militari e un festival di musica che si svolgeva nell’area. Migliaia di miliziani sono entrati nel Paese. Il bilancio della giornata: circa 1.400 morti: 823 civili, 321 soldati. Una carneficina. La reazione israeliana è stata tremenda. Secondo il ministero della Salute palestinese, dal 7 ottobre 2023 al 19 gennaio 2025 a Gaza sono morte 46.913 persone e 110.750 sono state ferite. Dopo un anno di conflitto, a ottobre 2024, il 59% delle persone uccise erano donne, bambini ed anziani, mentre il 41% erano uomini. Di questo 41%, il 18% era tra i 18 e i 30 anni di età. I numeri forniti dal ministero della Salute palestinese sono condivisi da varie organizzazioni internazionali. L’ufficio per il Coordinamento degli affari umanitari delle Nazioni Unite (Ocha) utilizza i numeri forniti dal ministero della Salute palestinese per i decessi. Il giornale scientifico The Lancet afferma che il numero di morti a Gaza durante la guerra potrebbe raggiungere almeno le 186mila persone. Significherebbe che almeno il 7,9% della popolazione di Gaza è morta dal 7 ottobre 2023 in poi. Nella striscia di Gaza secondo le Nazioni Unite, i bambini morti sotto i bombardamenti sono circa 14mila a cui si aggiungono 25mila feriti. L’Unrwa ha sottolineato più volte come si tratti di numeri senza precedenti, considerando che in pochi mesi si è eguagliato quello fatto registrare negli ultimi quattro anni sommando tutte le guerre del mondo.
I giornalisti? Al 31 dicembre 2024 163 giornalisti e operatori dei media uccisi in Israele e nei territori palestinesi occupati e in Libano. Stando alle informazioni raccolte dal sindacato dei giornalisti palestinesi, con il bombardamento del 7 aprile 2025 sale a 209 il numero di operatori dei media uccisi. I morti sono morti, tutti uguali, vite che hanno lo stesso valore. Ed allora perché quelli ucraini sembrano valere di più? Perché a loro è concesso più spazio, più articoli, più servizi nei tg. Vladimir Putin è un feroce dittatore, per me lo è dai tempi della repressione, quella che costò la vita (e citiamo solo lei) ad Anna Politkovskaja. Putin è quello che toglie di mezzo gli oppositori, li incarcera o li uccide. Lo definiamo per quello che è: un assassino, un dittatore, che cambia le leggi per stare al potere. Perché abbiamo difficoltà a dire che anche Benjamin Netanyahu sta compiendo crimini efferati contro la popolazione civile? Perché abbiamo paura a usare il termine genocidio? Perché nei suoi confronti c’è una sorta di ossequioso silenzio generalizzato? Perché non si stigmatizza il fatto che Israele non ha rispettato nessuna delle tante risoluzioni Onu per dare pace a quei territori e Stato ai palestinesi. Perché se un giornalista dice queste cose viene “bollato” come filorusso e antisemita? Non possiamo pretendere che gli Stati superino la realpolitik, la “politica concreta”, realistica, fondata sugli interessi del Paese e sulla realtà (interna o internazionale) del momento e non sui sentimenti, le ideologie, i principi che tanto “pesa” in questi due conflitti. Ma il giornalismo? Non c’è realpolitik per la stampa libera, per il giornalista libero. Escludiamo i sentimenti e le ideologie, che non devono appartenere alla nostra categoria. Ma i principi, quelli no! Non possono essere messi da parte. Nel racconto giornalistico non possiamo avere pesi e misure diverse. Le vittime restano vittime. I carnefici restano tali. Su entrambi i fronti.