Gli atti eroici di Pertini senza favore di telecamera

di Fabio Martini

La mattina dell’8 luglio del 1978, 47 anni fa, la Camera dei deputati visse una tra le più memorabili sedute parlamentari nella storia della Repubblica. I deputati, i senatori e i delegati regionali sono chiamati ad eleggere il Capo dello Stato e ad un certo punto il numero dei voti per Sandro Pertini è così alto che viene superato il quorum necessario per l’elezione. La voce del Presidente della Camera Pietro Ingrao viene sovrastata da un applauso corale che diventa commovente anche per chi non aveva mai amato il vecchio partigiano. Sandro Pertini era un politico eccentrico, rimasto sempre fuori dal giro della partitocrazia e questa era stata una tra le ragioni che avevano portato alla sua elezione. Lo si immaginava distante da tutti, compreso l’ambizioso leader del suo partito, Bettino Craxi. E invece diverse aspettative su di lui si rivelarono sbagliate. Per una ragione: Pertini aveva vissuto un’esistenza spericolata e perciò quando arrivò al Quirinale, era oramai su un piedistallo umano ed emotivo talmente alto che poté fare di testa sua. A vent’anni si era iscritto al Partito socialista e si era opposto subito al fascismo con gesti temerari. Lo condannano e lui riesce a fuggire in Francia. Ma il fuoco dell’ardore antifascista lo spinge verso una sfida pericolosissima: si procura un falso passaporto svizzero e rientra in Italia. Per non essere individuato in qualche albergo, di notte passa da un treno all’altro, ma a Pisa lo fermano. Il Tribunale speciale lo condanna a 10 anni e 9 mesi di carcere. In galera si ammala gravemente di tisi, e la madre, davanti al rischio che il figlio non ne esca vivo, chiede la grazia. Pertini la rifiuta, scrivendo al presidente del Tribunale speciale: «Mi umilia profondamente perché macchia la mia fede politica che più di ogni altro, della mia stessa vita, mi preme». Una rinuncia che poteva costare la vita a Pertini e colpisce la gratuità di quel gesto: il fascismo era saldo al potere e quella lettera avrebbe potuto restare per sempre sigillata negli archivi del Tribunale speciale. Se pensiamo ad anni più recenti e al calcolo mediatico che spesso precede ogni piccola azione politica, è semplice definire quel gesto al buio come l’atto di un eroe.

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