di Andrea Follini
Le manifestazioni che si sono tenute lo scorso fine settimana e lunedì a supporto del popolo palestinese e della missione umanitaria Global Sumud Flotilla, sono la dimostrazione che in Italia più di qualche coscienza comincia a sentire il peso di una complicità indiretta, che viene dal non muovere un dito di fronte a quello che le Nazioni Unite hanno già definito come un genocidio. Le manifestazioni che si sono tenute in tutto il Paese hanno segnato anche qualche momento di tensione con le forze dell’ordine: a Milano lunedì una parte dei manifestanti ha forzato il blocco ed è entrata in stazione centrale. A Bologna si è interrotta la circolazione sulla A14. Situazione caotiche si sono viste anche a Torino e Roma. Lo ribadiamo ancora una volta: azioni che non siano pacifiche, non aiutano la causa palestinese. Anzi. Un esempio di come il manifestare può essere efficace e pacifico allo stesso tempo lo ha dato Mestre: la manifestazione di venerdì, organizzata da sindacati, partiti della sinistra “ampia”, associazioni del territorio ha visto sfilare per le vie del centro cittadino diecimila persone con bandiere palestinesi, striscioni che chiedevano pace e, finalmente, anche un intervento deciso del nostro governo verso l’omologo di Israele. Lunedì invece, Usb e centri sociali si sono diretti verso il porto di Marghera con l’intento (riuscito) di bloccarne l’attività, ma, arrivati ai varchi portuali, sono stati fatti oggetto dei getti d’acqua sparati dagli idranti dei blindati della celere per liberare l’area e consentire al lungo serpentone di Tir che aveva nel frattempo bloccato la città e l’autostrada, di entrare in porto. Qualche ulteriore presa di coscienza la si sta vedendo perfino nei programmi tv, financo nelle reti nazionali dove l’orrore per quanto sta avvenendo nella Striscia non viene più taciuto. E molti governi, anche in Europa, cominciano dimostrare maggiore coraggio; dopo la Spagna di Sancez che ha dato il via ad un duro braccio di ferro con il governo Netanyahu, riconoscendo lo Stato di Palestina ma interrompendo anche relazioni commerciali e diplomatiche con Israele, è arrivato analogo riconoscimento anche da Canada, Gran Bretagna ed Australia. Questa è sicuramente la strada giusta, anche a livello diplomatico, per svolgere quella pressione necessaria a far comprendere ad Israele che lo si sta osservando e la linea di tolleranza è già stata superata da un pezzo. Norvegia, Irlanda e Slovenia hanno seguito le orme della Svezia che aveva riconosciuto la Palestina già nel 2024. A questi si è già unito il Portogallo mentre la Francia ha atteso l’intervento presso le Nazioni Unite la cui assemblea è riunita per l’appuntamento annuale in questi giorni a New York, per dare l’annuncio del proprio riconoscimento. Una scelta importante, compiuta in un contesto, quello dell’Onu, che evidentemente porta con sé anche lo stimolo a dare all’organizzazione internazionale un nuovo vigore ed un nuovo ruolo nell’ordine dell’area mediorientale. Dal nostro governo, continua un imbarazzante atteggiamento, tra l’attendismo e il farfuglio; non sa se sia infatti meglio non muovere un dito, cercando di non scontentare nessuno, o prendere una decisione anche sofferta ma decisa, che rimetta un po’ d’ordine nella storica capacità italiana di tessere rapporti, specie in quell’area. Che non si sia più ai tempi del Craxi di Sigonella, pare evidente ormai ai più; anche a qualche timida voce del centro destra. Ma l’Italia, se non vuole avere lo stigma morale dell’indifferenza o peggio ancora della complicità con quanto sta avvenendo a Gaza, deve decidere. E farlo in fretta. Una decisione europea più marcata di quella prospettata dalla Von der Leyen sarebbe stata auspicata, ma se così non è, non si può restare inermi a guardare. La voce che richiamava al diritto internazionale, che si esprimeva quasi tre anni fa, è oramai diventata un grido che non si può ignorare e che si alza, robusto, anche nel nostro Paese.