di Bobo Craxi
Dal 2023, la situazione a Gaza è stata estremamente grave, tragica. I dati esatti possono variare, ma secondo le fonti umanitarie e i rapporti delle Nazioni Unite, ci sono stati migliaia di morti e feriti, con decine di migliaia di sfollati. Cifre parlano di 50.399 uccisi e 114.583 feriti da quel 7 ottobre. La maggior parte della popolazione sfollata di Gaza – più di 1,3 milioni di persone tra cui più di 610.000 bambini – è intrappolata oltre il valico di Rafah, in un’area pari a meno di un quinto della superficie totale dell’enclave, senza alcuna possibilità di fuga. Quella dei palestinesi è una drammatica catastrofe umanitaria. E le cause risiedono nella politica militare di Israele. Improvvisamente se n’è accorto persino il Governo di destra di Meloni. Realismo politico, suggerirebbe l’adagio “meglio tardi che mai”. È chiaro, però, che il ravvedimento è simmetrico a quello della nuova amministrazione Usa. La sconcertante posizione del Governo Italiano in questi due anni non verrà però dimenticata. Ma a quale linea di orientamento politico si è adattato l’esecutivo? Innanzitutto va rilevato il fatto che sulla questione apertasi il 7 ottobre del 2023 la reazione della comunità internazionale fu pressoché unanime e così la condotta dell’Unione europea, che tuttavia ha sempre sollecitato la possibilità di una composizione pacifica della crisi soprattutto in relazione alla presenza di ostaggi che Hamas ha fatto propri nella rocambolesca incursione sul territorio israeliano. Territorio che fu violato in ben vent’otto punti al confine con la Striscia e consentì a delle bande armate di scorrazzare per ore, impunite, in una terra lasciata incustodita. Successivamente la sproporzione della reazione israeliana ha certamente suscitato nelle opinioni pubbliche mondiali e in alcune cancellerie, a partire da quell’americana, una solerte indignazione richiamando la necessità affinché Israele, nella sua legittima difesa, non eccedesse nella risposta. In un anno e mezzo, tuttavia, mentre molti Paesi democratici europei sono arrivati a definire persino come genocidio quest’azione militare, l’Italia è apparsa, nelle occasioni nelle quali fosse necessario un pronunciamento politico, a partire dall’assemblea generale delle Nazioni Unite, completamente schiacciata su Israele e senza alcuna volontà di aprire un dialogo con una delle parti in lotta più martoriata. Né vi sono stati, oltre a generici richiami al necessario “cessate il fuoco” e qualche intervento di carattere umanitario, alcuni passi politici e diplomatici atti a sviluppare un cammino che vedesse il nostro Paese fra le nazioni più impegnate ed interessate alla pace in Medio Oriente, mentre all’interno dei nostri confini – nelle università, nelle piazze, nei dibattiti pubblici – cresceva la tensione e la radicalizzazione delle posizioni, non mitigate certamente dall’immobilismo del Governo. Persino in Israele le ali progressiste riflettono sulla necessità di una iniziativa post-conflitto e vi sono settori della società preoccupati delle conseguenze sociali economiche e culturali di un conflitto così prolungato e di una generalizzata offensiva militare che ha prodotto migliaia di vittime innocenti, distrutto abitazioni e strutture civili e condotto ad una prolungata carestia la popolazione palestinese. Per questo la tardiva preoccupazione italiana, sulla scorta del nuovo atteggiamento dell’amministrazione americana e degli accorati appelli del nuovo Pontefice rendono più evidente il ritardo politico e culturale della nostra nazione in un drammatico conflitto come questo, un contrappasso tragico per i protagonisti delle pagine più nobili della politica estera italiana, protagonista della pace nel Mediterraneo, di cui il governo Craxi fu un esempio fulgido.