di Alessandro Amoroso
Fare come il Lussemburgo. È questo il mantra che guida la politica italiana da alcuni anni, ovvero da quando nei palazzi romani si è cominciato ad alzare gli occhi al cielo ed a lavorare ad una legge organica che disciplini le attività spaziali dello Stivale. Che cosa c’entra il Lussemburgo con lo spazio, si chiederanno i lettori? Il motivo è presto detto: il piccolo ma ricchissimo Granducato sin dal 2017 si è dotato di una legge che conferisce alle aziende la priorità delle risorse estratte nello spazio, diventando non solo il primo Paese europeo a legiferare sugli spazi siderei, ma anche il primo Paese al mondo a creare l’embrione di quello che viene definito, in maniera avveniristica, il “diritto dello spazio”. In Italia la prima legge sullo spazio è stata approvata nel 2024, più o meno in contemporanea con la nascita della liaison politico-ideologica tra Musk e Meloni. Il Ddl Spazio, approvato alla Camera lo scorso 6 marzo ed in attesa di essere esaminato dal Senato, nasce con il dichiarato obiettivo di regolamentare l’accesso allo extra-atmosferico da parte degli operatori, promuovendo investimenti nel settore per accrescere la competitività nazionale ed incentivando la ricerca e lo sviluppo di competenze tecnologiche in un Paese che, attraverso il pionierismo avventuroso dell’Agenzia Spaziale Italiana e di Telespazio, ha scritto delle pagine importanti in campo aerospaziale e satellitare. Tuttavia, come nella storia del filosofo che cadde in un pozzo mentre guardava le stelle, il Governo rischia un brutto inciampo a causa di un articolo della legge appena approvata: si tratta dell’articolo 25, che prevede di riservare per legge una parte della banda di comunicazioni satellitari ad esigenze di sicurezza nazionale e comunicazioni istituzionali. Il che vuol dire gestire, anche attraverso i satelliti, le comunicazioni strategiche istituzionali e militari. L’obiettivo è duplice: dare profondità operativa e strategica alle nostre forze armate per poter operare in sicurezza anche molto lontano dai confini nazionali, e permettere al nostro Paese di essere resiliente nel caso in cui le comunicazioni attraverso i cavi in fibra ottica vengano manomessi o spezzati. Come abbiamo visto accadere nel Baltico, ed i sospetti puntano dritti su Mosca, Pechino e loro alleati. Di per sé non ci sarebbe nulla di male a crearsi una via di comunicazione alternativa, se non fosse che rischiamo di cadere dalla padella alla brace. Infatti, l’articolo 25 prevede la possibilità di utilizzare satelliti o costellazioni di satelliti gestiti da soggetti dell’Unione Europea o di Paesi dell’Alleanza Atlantica. Ecco perché il pensiero di molti è corso subito al magnate Musk, che notoriamente possiede la costellazione di satelliti a bassa orbita gravitazionale Starlink attraverso la sua SpaceX. Il sospetto è diventato certezza quando l’egoarca di origine sudafricana ha ripostato su X, il social di sua proprietà, i commenti di alcuni utenti che si complimentavano con il neocapo del Doge, ente americano per l’efficienza della Pubblica Amministrazione americana, per il colpaccio messo a segno. Anzi, Elon non solo non ha smentito i rumors, ma ha anche espresso il desiderio d’incontrare il Presidente Mattarella per suggellare l’intesa con l’Italia. A parte la sgrammaticatura istituzionale, perché il ruolo del Presidente della Repubblica non gli consente d’incontrare nessun imprenditore privato, sia esso italiano o straniero, che voglia sollecitare affari per sé o per terzi, resta il sospetto di una legge ad personam, ritagliata sulle esigenze di Musk e della sua azienda. Abbiamo già scritto, sulle pagine di questo giornale, sulle possibili implicazioni tecniche, strategiche e geopolitiche del possibile accordo con un soggetto come Musk che, viste le sue notorie simpatie per l’estrema destra, ed il ruolo politico di primo piano giocato nell’amministrazione Trump, non rassicura sulla sua imparzialità. Basti leggere le sue incredibili dichiarazioni sull’Ucraina e sulla possibilità di tagliargli le comunicazioni, in una fase così cruciale della guerra con la Russia. L’Italia non ha proprio alternative a Starlink? E, se anche fosse, non si potrebbe per lo meno imporre che almeno il 51% del materiale e delle installazioni utilizzate provengano da fabbriche italiane di proprietà di soggetti italiani? Davvero non esiste un po’ di orgoglio scientifico e patriottico nel Paese di Galileo Galilei e degli illustri scienziati e tecnici che hanno reso l’Italia il terzo Paese ad esplorare lo spazio, dopo Unione Sovietica e Stati Uniti d’America?