di Giada Fazzalari
Quando i leader dei maggiori partiti di destra e di sinistra se le danno di santa ragione, con batti e ribatti continui, muovendo accuse reciproche sull’assassinio dell’influencer filo-trumpiano Charlie Kirk, capisci che quel ‘clima infame’ che evocava Craxi quando Sergio Moroni si suicidò per via dell’onda mediatica suscitata dal tintinnio delle manette, forse, non si è mai sopito. Anzi, si è persino alimentato negli anni. Una prima riflessione va fatta su quale sia il vero ruolo di chi rappresenta le istituzioni del Paese. Giorgia Meloni è, certo, la leader di un movimento politico erede di una storia e una cultura precise, quello di Ramelli, Bigonzetti, Ciavatta e Recchioni (questi ultimi tre, morti ad Acca Larentia). Ma è anche la Presidente del Consiglio, che dovrebbe sforzarsi di lavorare per unire la società, non aizzare l’opinione pubblica, aprire fratture e radicalizzare il dibattito. Aprendo, oltretutto, una campagna di linciaggio contro la sinistra, accusata di complicità con l’assassinio di Kirk. E scatenando oltremodo i giornali della destra, specie quelli praticamente organici al partito di Giorgia Meloni. Così come, l’opposizione, dopo aver giustamente condannato in modo unanime l’omicidio, non ha fatto granché per non cedere alle provocazioni di chi, irresponsabilmente, ha monopolizzato il confronto pubblico con fibrillazioni mediatiche, derive polemiche, uno scontro verbale che diventa sempre più aspro. Un po’ come accade negli Stati Uniti, dove spesso il linguaggio politico è sfociato nella violenza, con il formidabile moltiplicatore che sono le armi. E però, siccome le guerre iniziano con le parole, in un’epoca che è segnata dalle guerre, non è peregrina l’idea che la violenza verbale possa sfociare in violenza anche fisica. E le parole, specie se vengono pronunciate da istituzioni e leader politici, hanno un peso specifico sull’opinione pubblica e vanno usate con responsabilità. E allora, bisogna tornare ai fondamentali della politica, che serve a fare da collante della società. Che attraverso i partiti è ponte tra Stato e cittadini. La politica deve, dunque, evitare fratture, unire e non dividere. Ma soprattutto deve considerare gli altri avversari e non nemici. Altrimenti, a trent’anni da Tangentopoli, quella lezione non ci sarà servita a nulla. E certo, non ne abbiamo nostalgia.