di Giada Fazzalari
Alle radici del conflitto che si è riacceso nel Medio Oriente ci sono secoli di inimicizia ma anche di convivenza fra il popolo ebraico e quello persiano; eppure, al di là degli appelli politici generici e dagli impegni di voler trovare una soluzione al conflitto, tutti gli attori internazionali si sono trovati impreparati di fronte i all’escalation militare che ha accertato la doppia vulnerabilità di entrambi i paesi, Iran e Israele, costretti per questa ragione ad intensificare l’ azione militare puntando e confidando nella dottrina del “regime change” (che non ebbe successo neppure durante il conflitto che oppose l’Iran e l’Iraq; esso fu lungo e sanguinoso ma entrambi i regimi – quello di Baghdad fu sostenuto abbondantemente dall’Occidente – non capitolarono e gradualmente ripresero il proprio ruolo destabilizzatore nell’area). L’ipotesi che Trump voglia entrare in guerra e lanciare un attacco americano contro gli impianti nucleari iraniani sembrava, fino a pochi giorni fa, più che fantasiosa. Ora che si concretizza, potrebbe aprire a scenari globali disastrosi, con conseguenze tragiche. Che vi sia in Occidente, compreso in Europa, un’inclinazione favorevole alla fine della teocrazia iraniana non significa che si intenda offrire al Governo di Netanyau una sorta di ‘lasciapassare’ per la sua sistematica opera di distruzione della Striscia di Gaza e per il tragico numero di vittime civili innocenti. Una distruzione che, mentre gli occhi sono puntati sull’Iran, prosegue indisturbata. Allo stesso modo, però, le presunte violazioni dei trattati sulla non proliferazione nucleare causato dall’arricchimento dell’Uranio (che il regime di Teheran insiste nel ritenere sia stato fatto esclusivamente a scopo civile) appaiono motivazioni pertinenti affinché il Regime di Teheran dia una risposta chiara e ultimativa alla comunità internazionale, ma che certo non arriverà dopo un attacco che ha violato, ancora una volta, il diritto internazionale. Nulla rende vana la speranza che non possa esserci via di uscita da questo momento allarmante, fatto di bombe e morti; le conseguenze di questo conflitto aggrediscono le economie dipendenti dal greggio prodotto in Iran, le nazioni che vivono nelle regioni circostanti ancorché critiche nei confronti di Teheran non hanno solidarizzato con gli aggressori, come era possibile attendersi, ma con gli aggrediti. L’Occidente, mantenendo l’impegno per garantire la sicurezza di Israele non devono commettere l’errore di riformare un “fronte iracheno”; L’Iran è un grande paese che vive delle sue contraddizioni e può riguadagnare il terreno del dialogo che non aveva abbandonato da Obama in poi. Provocare un cambio di regime a tavolino sotto una gragnuola di missili sarà complicato. Per questo il conflitto potrebbe protrarsi nel tempo e le conseguenze, senza una pressione efficace e condivisa sul piano internazionale, potrebbero non tardare anche in Occidente.