di Andrea Follini
Marghera è la cittadina nella prima terraferma del Comune di Venezia, di cui è frazione, dove un tempo trovavano da abitare gli operai di Portomarghera, quando in Italia la chimica era ancora fiorente. Delle tante realtà industriali che davano lavoro in questi territori, ora è rimasta soprattutto la cantieristica: Fincantieri (un tempo Breda) a Marghera è, con il sito di Monfalcone, tra i più grandi cantieri per navi passeggeri del nostro Paese. Sono pochi gli operai italiani rimasti a lavorare qui. Il lavoro è duro, tra enormi saldature e fini decorazioni; molto lo fanno le ditte esterne, che per Finacantieri lavorano, ed i loro operai sono in prevalenza di provenienza extracomunitaria. Grazie a loro Marghera, che rischiava di diventare una comunità anziana, è tornata ad essere ciò che era negli anni ’70: una comunità operaia. Con tutto ciò che questo porta con sé. La comunità bengalese, principalmente, fornisce la manodopera a queste aziende. E dove abitano i bengalesi a Marghera? Quasi tutti al quartiere Cita, divenuto crocevia di culture, tradizioni. E religioni. Alla Cita è parroco don Nandino Capovilla, dal 2013. Prima è stato coordinatore nazionale di Pax Christi, e questa impronta non l’ha mai tolta dall’animo. Nandino ed i suoi volontari, sono divenuti il perno di un intreccio di assistenza ed accoglienza per molti, da ogni parte del mondo; ma dovremmo dire meglio: da ogni parte del mondo che soffre. Nandino ha sempre diffuso la cultura della pace ed è tessitore di relazioni. Un uomo che dà voce a coloro che faticano ad essere ascoltati. E non è tipo da abbassare la voce. Nandino l’11 agosto parte, con altri, per la Terrasanta, dove ha in animo di continuare ciò che fa da più di vent’anni: toccare con mano, immergersi, nelle difficoltà del prossimo. Ma viene fermato all’aeroporto Ben Gurion di Tel Aviv; gli vengono requisiti telefono e bagagli. Dopo sette ore di permanenza negli uffici della sicurezza dell’aeroporto, gli vengono resi i suoi averi assieme ad un foglio di espulsione. La sua presenza non è gradita, può rendere insicuro lo Stato di Israele. Pazzesco. Don Nandino torna a Venezia il 12 mattina; all’aeroporto Marco Polo lo attendono in molti. «Non sono io la notizia – dice ai cronisti che gli chiedono un commento – ma tutto quello che sta accadendo in Terrasanta. Quanto mi è accaduto è una piccola cosa che non ha misura rispetto alle violenze subite quotidianamente da tutti i palestinesi. Questa è la notizia. Il mio è stato un piccolo concentrato sequestro di persona per un po’ di ore, sette ore rispetto ai settant’anni del popolo palestinese, in un luogo dove ho potuto aspettare che passasse il tempo, parlare con le persone lì con me, tutte vittime di un sistema. Ho scoperto che ancora una volta va denunciato Israele perché continua a fare cose che non può fare». Don Nandino Capovilla chiede di non parlare di sé ma della situazione in Palestina. E noi dell’Avanti! della domenica continuiamo a farlo. Da ottobre 2023, per molto tempo da soli, spesso sbeffeggiati e qualche volta qualcosa di più. Cosa avrebbe visto don Nandino se gli fosse stato consentito di camminare su quelle rovine martoriate che sono diventate Gaza e la Cisgiordania, dove l’umanità da tempo non ha diritto d’asilo? Avrebbe saputo che la lista dei giornalisti morti mentre tentavano di svolgere il loro lavoro, è aumentata. Due giornalisti e quattro fotoreporter sono stati oggetto di un attacco mirato a Gaza, nei pressi dell’ospedale Al Shifa. L’obiettivo principale era Anas Al-Sharif, corrispondente di Al Jazeera e con lui sono stati uccisi il suo collega Mohammed Qreiqeh ed i cameramen Ibrahim Zaher, Mohammed Noufal e Moamen Aliwa. L’esercito israeliano ha confermato sui social l’attacco, affermando di aver colpito Al-Sharif definito “un terrorista che si spacciava per giornalista”. Secondo l’esercito Anas Al-Sharif era a capo di una cellula terroristica di Hamas, responsabile di attacchi missilistici contro civili israeliani e militari dell’esercito israeliano. Il giornalista era uno dei volti più noti dell’emittente Al Jaazera, impegnato sul campo a Gaza da dove forniva reportage quotidiani con copertura regolare. Nel suo ultimo messaggio registrato sul suo account X, scriveva: «Questa è la mia volontà e il mio messaggio finale. Se queste parole vi giungono, sappiate che Israele è riuscito a uccidermi e a mettere a tacere la mia voce». Il quotidiano israeliano Haaretz ha sottolineato in un editoriale titolato “Non vogliono che rimanga alcuna voce a Gaza: l’uccisione di Anas al-Sharif di Al Jazeera suscita indignazione e paura”, come l’uccisione del cronista arabo possa essere l’atto di apertura del piano israeliano per conquistare Gaza City; un piano che ha già sollevato lo sdegno di molte cancellerie occidentali. L’uccisione dei giornalisti arabi ha visto giungere al governo israeliano proteste da ogni parte del mondo. L’Onu, condannando il raid, ha evidenziato come questo atto sia un ulteriore violazione del diritto internazionale perpetrato da Israele. Da sommare al lungo elenco già iscritto di violazioni a carico del governo Netanyahu. Don Nandino avrebbe anche saputo che continuano a farsi sentire le voci dissidenti anche tra il popolo israeliano ed importanti esponenti del mondo politico del Paese. Avraham “Avrum” Burg, ex presidente della Knesset israeliana, ha chiesto venerdì a un milione di ebrei in tutto il mondo di unirsi per una denuncia collettiva presso la Corte Internazionale di Giustizia, accusando Israele di crimini contro l’umanità a Gaza. «Abbiamo bisogno che un milione di ebrei, meno del dieci percento della popolazione ebraica mondiale, presentino un ricorso congiunto alla Corte Internazionale di Giustizia dell’Aia – ha scritto Burg in un post sui social intitolato “Ebrei – Ribelliamoci. Ora!” -. Un ricorso legale collettivo contro lo Stato di Israele per crimini contro l’umanità commessi in nostro nome e sotto la falsa bandiera della nostra identità ebraica». La preoccupazione e la rabbia dei cittadini nei confronti del governo Netanyahu e delle sue scelte, aumenta. Il timore di un popolo, quello israeliano, di perdere la propria anima, anche. Il movimento di popolo, ancora una volta, potrebbe fare la differenza.



