di Stefano Amoroso
Negli ultimi tempi, nel dibattito politico, tiene banco la pretesa del Governo Meloni di prelevare 4,4 miliardi di euro quest’anno, ed 11 miliardi nel triennio 2025-2027, dal sistema bancario per le politiche sociali governative. Cioè, prendere ai ricchi (le banche) per dare ai poveri. Meloni sa, indubbiamente, come farsi amare dalle folle degli indigenti, mostrando di aver ben appreso la lezione di Giorgio Almirante. In questo caso, poi, la mossa serve anche a mettere in grave crisi la sinistra ed in particolare il Movimento Cinque Stelle, accusato di aver favorito il forte arricchimento delle banche negli ultimi anni. Tuttavia, la questione va esaminata in chiave storica: innanzitutto, le banche italiane hanno dovuto affrontare quasi da sole gli effetti delle terribili crisi finanziarie che si sono susseguite in tutto il mondo tra il 2008 ed il 2012. L’Italia, essendo un Paese sovraindebitato e sull’orlo del default, non ha potuto aiutare il proprio sistema bancario come hanno potuto fare gli altri Paesi del G7. In mancanza di aiuti, in una prima fase le banche hanno dovuto necessariamente ridurre l’erogazione del credito alle imprese, causando sofferenze e fallimenti che si sono ripetuti a catena in tutti i settori ed in tutto il Paese. Nel 2012, dopo questa dolorosa ma necessaria cura dimagrante, il Paese era in recessione e le perdite complessive del sistema bancario italiano ammontavano a 2,5 miliardi. Proprio a quegli anni risalgono i fallimenti e le crisi di diverse banche. Una su tutte, il Monte dei Paschi di Siena, sulle cui vicende Beppe Grillo ha maramaldeggiato, parlando di “mafia rossa” e portando il suo Movimento Cinque Stelle, nelle elezioni generali del 2013, a diventare una delle principali forze politiche del Parlamento. Altri tempi, altri protagonisti della politica italiana. Superata la fase di emergenza, per recuperare competitività e liquidità le banche hanno operato alla vecchia maniera: facendo pagare utenti e lavoratori. I primi hanno dovuto affrontare un forte aumento dei costi di apertura e mantenimento dei conti correnti, mentre i secondi sono stati licenziati in massa. I dati della Federazione Autonoma dei Bancari Italiani (FABI) lo dicono chiaramente: dal 2012 al 2022 i dipendenti delle banche sono diminuiti del 14,7% e le filiali si sono contratte del 3,62%. Inoltre, tra quelle rimaste aperte, quasi tutte hanno ridotto operatività ed orari. A farne le spese, ancora una volta, sono stati gli utenti, incluse le Pmi, soprattutto nelle aree interne e nelle isole. Dopo un decennio di cura ricostituente da lacrime e sangue, il sistema bancario italiano ha ricominciato a marciare e ad erogare prestiti: sono aumentati i ricavi, tornati gli utili e finalmente, a partire dal 2022, l’erogazione di prestiti è tornata ad essere la principale fonte d’impiego del denaro. Se non ci fossero stati i provvedimenti dei Governi Conte secondo, e Draghi, insomma, le banche non avrebbero potuto immettere liquidità nel sistema. Ciò ha consentito alle imprese che hanno vinto gli appalti del Pnrr di lavorare con tranquillità e completare i lavori, senza dover aspettare i pagamenti dello Stato italiano. Il quale, come da sua tradizione, ha confermato anche stavolta la meritata fama di pessimo pagatore. D’altronde, se a fine settembre 2025 è stato completato e finanziato solo il 44% dei lavori previsti con il Pnrr, c’è solo da ringraziare il sistema imprenditoriale e creditizio italiano per aver fatto fronte alle difficoltà con il loro lavoro ed i loro soldi, perché altrimenti il Paese sarebbe bloccato e saremmo entrati in recessione. In definitiva, questa storia dimostra quanto male si faccia alla credibilità della politica ed all’economia del Paese se si affrontano questioni così delicate con slogan populisti, soluzioni affrettate e mancanza di strategia. La verità è che l’Italia ha un bisogno estremo di un sistema bancario forte e solido, che eroghi finanziamenti ad un sistema imprenditoriale certamente dinamico, ma fatto soprattutto di Pmi poco patrimonializzate. Per gestire il settore, ed anche per prelevare delle risorse, serve una conoscenza profonda delle dinamiche creditizie e capacità di operare col bisturi. Se invece si vuole imbracciare la motosega, stile populismo latino-americano, si fanno solo danni che poi vengono pagati dai più fragili. E allora, le banche devono pagare o no? È ovvio che debbano dare un contributo straordinario ora che possono, ma, come è stato proposto, giustamente, dal Psi con il suo “piano casa”, sotto forma di mutui agevolati a giovani per il recupero dei tanti immobili attualmente inagibili ed inutilizzati, ma anche per far credito a startup ed imprese per progetti di ricerca ed innovazione, che consentano il rientro in Italia di giovani ricercatori attualmente costretti ad emigrare perché privi di seri sbocchi lavorativi in patria. Sono tutti punti qualificanti della proposta politica socialista, più volte rilanciati dal segretario Enzo Maraio. In questo modo, dopo aver tartassato i genitori ed i nonni, risanando i bilanci, le banche italiane restituirebbero una parte di quello che hanno ricevuto ai figli ed ai nipoti, chiudendo così, anche idealmente, il cerchio. Se, invece, verranno chiamate a finanziare la prossima campagna elettorale della maggioranza, questo furto non farà altro che sommarsi ai precedenti. Non ci si meravigli, poi, se a votare ci andranno sempre meno elettori.



