Zohran Mamdani un socialista per New Tork

di Alessandro Silvestri

C’è un giovane democratico a New York, che sta correndo con grande scioltezza ed entusiasmo per l’elezione del nuovo sindaco, il 4 novembre. Un perfetto semisconosciuto, che soltanto pochi anni fa, faticava a partecipare alle convention del Partito Democratico, e ancora quattro mesi dopo il lancio della sua candidatura, risultava nei sondaggi tra l’1% di “altri”. Non solo, ha anche molti altri difetti. È nato in Uganda, a Kampala nel 1991, da genitori indiani, accademico il padre Mahmood e regista impegnata la madre Mira Nair. È musulmano sciita, laureato in studi e cultura africana al Bowdoin College di Brunswick, Maine; una università di provincia, con un ranking oltre l’ottantesimo posto tra i college americani, non certo la NBA delle università. Appassionato di hip pop, ha pure tentato una carriera nella musica con un rapper ugandese, tale HAB. È eterosessuale, ha sposato l’artista siriana Rama Duwaji e soprattutto è un “socialista democratico”, come più volte l’ha additato il mammasantissima dei democratici newyorkesi, imparentato per matrimonio (come Telese con Berlinguer) con Bob Kennedy. Quel Andrew Cuomo, figlio di Mario, che è stato in quarant’anni di carriera di tutto e di più nello Stato di New York, e non solo. Chissà cosa ne penserebbe Fiorello La Guardia, che da repubblicano sostenne le politiche del presidente Roosevelt, si alleò con l’American Labor Party e applicò concretamente il “New York Deal”. Non a caso al politicamente decotto Cuomo, che oltre ai problemi di scandali sessuali che lo portarono alle dimissioni da governatore nel 2022 e ultimamente da provetto voltagabbana a strizzare l’occhio a Donald Trump, le primarie newyorkesi hanno opposto un severo stop, preferendogli Mamdani (si pronuncia con l’accento sulla i). Ci sono difetti e difetti, evidentemente. Anche negli States. L’altro contendente, il pittoresco Curtis Anthony Sliwa, fondatore dei Guardian Angels, con sangue italiano nelle vene, repubblicano anti-Trump, non ha nessuna chance di elezione e invitato a ritirarsi anche dai suoi. Mamdami è dal 2020 deputato dello Stato di New York, e assieme al texano James Talarico – di cui abbiamo già parlato in uno dei numeri precedenti – rappresenta una chiara risposta dal basso, dal corpaccione sociale americano, alla crisi della politica che non è soltanto quell’orripilante mondo al contrario scaturito dal vaso di Pandora dei Maga; ma anche una sorta di risposta immunitaria civile e democratica, sprigionatasi proprio in concomitanza con la crisi dell’establishment Dem, politicamente stagionato più di Biden. Attenzione, non siamo certo noi fautori di palingenetiche rottamazioni catartiche, ben consapevoli che, come diceva Allende, esistono giovani già vecchi, e vecchi sempre giovani. Noi socialisti ai nostri anziani dirigenti, abbiamo sempre riservato un autorevole e benefico diritto di tribuna. Non è certo cancellando di colpo le esperienze, che si può aspirare a costruire una politica migliore. E non è nemmeno un altro caso se, nella fragorosa rotta dem conseguente al sacrificio della Harris e alla presa del potere “imperiale” di Trump, nessuno della vecchia guardia se non il sempreverde Bernie Sanders, abbia avuto la capacità di reazione e di analisi sul perché del disastro e sul percome del rilancio. Difatti, sia Bernie che la Ocasio-Cortez, sono i principali sostenitori istituzionali di Mamdani. Ma cosa propone di tanto rivoluzionario questo “Socialist in New York” che, riecheggiando Sting, sta spostando (finalmente) l’attenzione dal gender fluid al multicultural fluid? Dalla proiezione un po’ snob e troppo politically correct del Woke, all’impegno politico diretto e concreto per la soluzione dei problemi che inevitabilmente scaturiscono in una società metropolitana tanto complessa? Se i sostenitori di Trump, isolati in una bolla di eterno presente, dipingono la Grande Mela come una città infernale, assediata dalle gang criminali, in mano agli immigrati irregolari e fuorilegge, e vorrebbero farne magari una sorta di grande Manhattan per sole facoltose élite; Mamdani offre la visione di una città gioiosa, arricchita e tutt’altro che annichilita dalle diversità, dove persino i tanti ricchi presenti possono fare il bene della collettività. Ultimamente troppo trascurata, pesantemente attaccata e ghettizzata dal trumpismo. Il trentaquattrenne aspirante sindaco, propone il congelamento degli affitti per gli inquilini che vivono negli stabili ristrutturati grazie alle agevolazioni fiscali costruiti prima del 1974; il trasporto pubblico gratuito, in particolare sugli autobus; asili nido pubblici e gratuiti per i bambini sotto i sei anni; maggiore intervento pubblico sulla sanità; supermercati municipali che vendano a prezzi all’ingrosso; e un aumento progressivo del salario minimo, con l’obiettivo di arrivare a trenta dollari l’ora entro il 2030. Insomma le solite vecchie e decrepite ricette socialiste, su casa, lavoro, cooperazione locale, salute, redistribuzione della ricchezza complessiva e welfare municipale. Toh! Proprio come in Italia (e ancora quasi ovunque nella “vecchia” Europa) nel secolo e mezzo passati…Siamo certi che il 4 novembre si aprirà da New York, una finestra nuova per tutto il mondo, una risposta chiara e concreta all’oscurantismo dei giorni nostri. La gioventù americana, multietnica e multiculturale da sempre, sta mettendo in luce i suoi potenti anticorpi democratici e siamo pronti a scommettere che sarà un bene per il resto degli Stati Uniti, per l’Europa e per tutti gli altri. “New York is not for sale” gridavano in coro le migliaia di presenti allo stadio di Forest Hills, domenica 26 ottobre, alla festa di chiusura della campagna elettorale. Guidata dall’ala sinistra dei democratici Usa, oggi compiutamente socialista. Mentre paradossalmente, quella italiana è ancora post-comunista o dorotea. Ma da quest’altra parte dell’Atlantico, si sa, abbiamo pazienza, speranza e resilienza da vendere.

Ti potrebbero interessare