di Giada Fazzalari
Esattamente cinquant’anni fa Pier Paolo Pasolini veniva ucciso all’Idroscalo di Ostia. E, cinquant’anni dopo, l’Italia continua a ricordarlo, a celebrarlo, a dividersi sulla sua eredità “ideologica”. Da destra a sinistra, sono in molti a contenderselo. Ci si chiede: Pasolini era un progressista o un conservatore? La discussione è aperta, ed è il segno della straordinaria attualità del messaggio “politico” di uno dei maggiori poeti italiani del secondo ‘900. L’ombra lunga di Pasolini arriva fino a questa claudicante Terza Repubblica, e questo non è accaduto per nessuno scrittore italiano del passato. E, in un giorno solenne come questo, vale la pena di fare ancora i conti con questo straordinario intellettuale. E noi socialisti lo faremo con tutta l’ammirazione che un simile gigante della cultura merita, ma anche con la consapevolezza delle tante contraddizioni delle sue posizioni politiche. Come si sa, negli ultimi anni della sua vita il poeta di Casarsa iniziò ad aggredire la Dc, i palazzi del potere, la grande industria, la Rai, la scuola pubblica. Il suo bersaglio era il “nuovo fascismo” del consumismo, dell’industrializzazione, dell’alfabetizzazione di massa, della subalternità dei partiti di governo verso il capitalismo. Fu rabbiosa, la furia giustizialista di Pasolini, che chiedeva che i palazzi della politica venissero processati. Perché avevano corrotto “l’umile Italia” popolare con un benessere di facciata, piccolo-borghese, micragnoso, senza più anima. Ma Pasolini aveva torto, perché era proprio il popolo che voleva affrancarsi da condizioni di sottosviluppo e di subalternità culturale; era il popolo a chiedere case comode, lavori decenti, consumi più facili, un’istruzione di base, e bene fece la politica a modernizzare il Paese con straordinarie accelerazioni. Ma il furore di Pasolini fu cieco, e non ammise argomentazioni “riformiste”. Tanto che arrivò a dire (dell’Italia delle stragi): “Io so, ma non ho le prove”. Che è la negazione di qualsiasi principio argomentativo e finanche deontologico, per chi interviene sui giornali. Non basta dichiararsi scrittori e intellettuali per sottrarsi al sacrosanto principio della verificabilità di ciò che si afferma. Negli anni a venire, dopo quella tragica notte all’Idroscalo – da Tangentopoli fino a certo giornalismo sensazionalistico “senza prove” – su quell’assurdo paradigma (“Io so, ma non ho le prove”) si sono costruiti processi, partiti, movimenti culturali, carriere, corporazioni. Tutti perennemente in attesa di un grande processo contro il Palazzo. Proprio perché Pasolini è più vivo che mai nel nostro dibattito politico-culturale, è giusto discuterlo criticamente e non trattarlo come un santino. Perché la sua fu una presenza controversa ed eretica e merita di essere discussa apertamente, anche in un giorno di solenne commemorazione come questo. Nel mentre ricordiamo con commozione la sua tragica vicenda e la grandezza della sua opera, non possiamo non sottolineare criticamente che il “pasolinismo” è stato alla base di tanto giustizialismo e di tanto populismo nefasto degli ultimi decenni.



