di Alessandro Silvestri
Nelle carceri israeliane è rinchiuso da ventitré anni un terrorista palestinese, Marwan Barghouti, che però non è un terrorista. Ma il capo riconosciuto e ormai carismatico di Al Fatah, il partito laico e socialista palestinese, che a causa di conflitti interni e di molti nemici esterni, fu scalzato per tre punti percentuali a quelle che furono le ultime elezioni regolarmente tenutesi a Gaza e Cisgiordania, nel 2006. Ma la sua popolarità va ben oltre i confini politici, che pur ci sono e molto netti, con Hamas e le altre formazioni estremiste. Un sondaggio interno alla Autorità Nazionale Palestinese, parla di un gradimento tra il 60 ed il 70% in caso di elezioni presidenziali. Fatah, a differenza di altri, riconosce da sempre il pieno diritto di Israele di esistere ed è, nei fatti, il precursore fin dalla fine degli anni ‘50, con Arafat e gli altri, del progetto del “due popoli due Stati”. Non è affatto un caso che la destra fondamentalista e imperialista israeliana, a braccetto con certe famiglie arabe dei petrodollari, abbia finanziato Hamas affinché arrivasse a scalzare e sostituire Fatah, nei territori contesi da decenni, dal Giordano al Mar di Levante. Ma chi è Barghouti e perché anche la parte più sostanziosa della sinistra italiana Pro-Pal (fino a poco tempo fa sostenitrice non molto dissimulatamente di Hamas) si è scoperta all’improvviso paladina del politico cisgiordano, tanto da lanciare un appello per la sua scarcerazione, da Rifondazione Comunista, all’ Arci, alla Fiom a Il Manifesto? Barghouti non ha mai riconosciuto ai tribunali israeliani la legittimità di processarlo e non si è di conseguenza, mai difeso dalle accuse che portarono alla condanna “esemplare” di cinque ergastoli e più di quarant’anni di prigione. I diritti più elementari che anche ad un prigioniero debbono essere riconosciuti, sono da anni regolarmente calpestati dai suoi carcerieri, attraverso pestaggi e torture anche di tipo psicologico. In un video diffuso a ferragosto, il ministro Ben-Gvir (lui sì un estremista conclamato) ha visitato Barghouti in carcere, ammanettato e visibilmente provato dal lungo isolamento, vessandolo ulteriormente con minacce terribili nei confronti dei palestinesi: “Non ci sconfiggerete, chiunque abbia aggredito il popolo di Israele, chiunque abbia ucciso i nostri figli e le nostre donne, lo stermineremo. Dovreste saperlo, è sempre stato così nel corso della storia”. L’ultima visita dei picchiatori in divisa, come se non fosse bastato tutto quanto di orribile abbia subito, l’ha ricevuta a settembre, riportando contusioni, costole rotte e vistose tumefazioni, fino allo svenimento. A 66 anni, è ormai l’ombra di sé stesso, ma sfidiamo chiunque a resistere così a lungo in una situazione tanto ostinata e contraria ad ogni forma di umanità minima sopportabile. Barghouti in carcere ha studiato, ha imparato la lingua ebraica, si è laureato nei pochi anni tra le prime prigionie a soli 18 anni e quella infinita attuale, ed ha contribuito in maniera determinate a far laureare milleduecento prigionieri palestinesi, passati dalle “università” delle carceri israeliane. Non ha mai mollato, difendendo non sé stesso ma il diritto dei palestinesi (e anche degli israeliani) a convivere pacificamente in quelle terre tanto martoriate fino alla distruzione totale odierna di Gaza City. Per questo è stato paragonato a Mandela e, aggiungiamo noi, a quegli antifascisti che non persero la speranza anche negli anni più bui dell’Europa. Ashkelon, Damon, Ofer come Ponza e Ventotene, ma con un livello di crudeltà tale che nemmeno il regime mussoliniano osò oltrepassare. Proprio nel 2013 a Robben Island, Repubblica del Sudafrica, dalla cella che ospitò Mandela per ventisette anni, fu lanciato il primo appello internazionale per liberare Barghouti e altri prigionieri politici palestinesi. Appello che sottoscriviamo con fiducia e speranza e che rilanciamo ancora oggi! Ma non basta, ne dobbiamo aggiungere un altro non meno importante, quello per il conferimento del Nobel per la Pace 2026, proprio a Marwan Barghouti, semmai ci fosse in questo momento qualcuno più meritevole per un premio tanto simbolico quanto evocativo. Per la pace in Medio Oriente, anche alla memoria delle migliaia di vittime innocenti, non solo palestinesi. Speriamo non alla sua, perché il Dio di Abramo meglio di altri, sa quanto c’è bisogno di pace, fratellanza e buona politica da quelle parti. E quanto israeliani e palestinesi abbiano bisogno di uomini come Barghouti che ridiano fiducia e speranza. Anche al resto del mondo.



