di Rossano Pastura
Non c’è niente per cui esultare. Niente che faccia pensare che a Gaza la situazione possa tornare “alla normalità”. A poco più di una settimana dalla firma dell’accordo di Sharm El-Sheikh, sottoscritto il 14 ottobre scorso, Israele continua ad uccidere civili palestinesi, bambini, donne e uomini; continua ad impedire ai camion che trasportano viveri, destinati alla popolazione palestinese affamata, di entrare nella striscia dal varco di Rafah; a cercare ogni possibile pretesto per rompere la tregua e, come “impegno” solenne assunto dal premier israeliano Netanyahu, “terminare il lavoro iniziato, fino alla completa distruzione di Gaza e alla deportazione dei suoi abitanti”. Perché esultare se risulta evidente che quello sottoscritto da Donald Trump, dal presidente egiziano El Sisi, dal presidente turco Erdogan e dall’emiro del Qatar Hamad Al Thani, non è un accordo di pace ma solo un business plan, o come lo ha voluto chiamare qualcuno, un “peace-nnes plan”? Quando gli inviati in Medio Oriente del presidente degli Usa Donald Trump, Steve Witkoff, immobiliarista miliardario, amico storico di Trump e privo di esperienza politica e diplomatica, e Jared Kushner, genero del presidente (ha sposato Ivanka Trump), rampollo di una famiglia di ebrei ortodossi e impegnato anche lui nel campo delle costruzioni, da più parti si è assistito a scene di giubilo e di esultanza. Comprensibilmente hanno festeggiato i gazawi, stremati da due anni di bombardamenti, deportazioni, uccisioni, mutilazioni. Dopo due anni in cui la fame e la sete sono stati usati come arma di guerra, hanno visto in quell’accordo la fine delle proprie sofferenze, dello strazio di dover assistere ogni giorno alle violenze dell’esercito israeliano che distruggeva le loro case, gli ospedali, le scuole frequentate dai propri figli, quelli ancora vivi. Lo hanno fatto in buona fede, tanto da acclamare il presidente degli Stati Uniti, che è colui che arma Israele. Colui che dalle rovine di Gaza annusa una straordinaria occasione per poter fare affari e guadagni attraverso una raccapricciante speculazione edilizia. Hanno mostrato la propria soddisfazione le migliaia di persone che nei giorni precedenti erano scese in piazza per protestare contro la carneficina che Israele stava compiendo a Gaza, in violazione di tutte le norme del diritto internazionale; norme che per il nostro imbarazzante ministro degli esteri “valgono fino a un certo punto”. Hanno esultato, stavolta in mala fede, i membri del governo italiano, congratulandosi per il nulla contenuto nell’accordo e candidando addirittura il tycoon americano al Nobel per la pace. Lo ha fatto per prima la nostra presidente del consiglio Giorgia Meloni, “bella e giovane donna” secondo il presidente Trump, che non ha perso l’occasione per intestarsi meriti che non ha e salutando l’accordo come qualcosa di meraviglioso e risolutivo, in grado di porre fine al massacro che da due anni l’esercito di Israele sta portando avanti a Gaza che lei non ha mai condannato per davvero. E quando lo ha fatto, lo ha fatto in modo tardivo e flebile. Non c’è niente da esultare e nessun motivo per esaltare un accordo che non conduce alla pace “giusta e duratura” invocata da Papa Leone. Nessun accenno al futuro di Gaza e dei suoi abitanti, alla loro futura permanenza in quell’area, a risarcimenti per i danni subiti, le distruzioni, i lutti provocati. Nemmeno una parola di condanna per la strage di civili che ha spazzato via un’intera generazione di palestinesi, niente sul riconoscimento dello stato di Palestina né sulla situazione in Cisgiordania. L’accordo di Trump, sviluppato in venti punti, non parla mai di pace. Parla piuttosto di una pausa legata ad una serie di passaggi che vede obblighi per Hamas e delle “concessioni” per Israele. In fondo Trump ha un obiettivo e un’ossessione: trasformare Gaza in un luna park e ottenere il premio Nobel per la pace, attribuendosi, lui guerrafondaio, il merito di pacificatore. Ecco perché si deve ribadire con forza che quello voluto dal presidente Trump (ricordiamoci che si tratta di un palazzinaro), altro non è che un roboante business plan, che prevede l’elaborazione di un “piano di sviluppo economico per ricostruire e rilanciare Gaza”, tra insegne sfavillanti, hotel a 5 stelle, villaggi turistici, stabilimenti balneari. Noi socialisti, da sempre eretici e anticonformisti, non ci siamo mai accodati alle folle esultanti per un accordo iniquo e privo di prospettive. Le forze democratiche che si oppongono a questo orrore, continuino a lavorare affinché la comunità internazionale, con l’Europa in prima linea, costruisca un percorso per raggiungere una pace giusta, realizzando il sogno di uno Stato per il popolo Palestinese come auspicato da Craxi e poi dal Presidente Pertini nel suo discorso di fine anno del 1981.



